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Nonni multimediali, trent’anni di Amiga

Paolo Morati 30/03/2015

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Si celebra quest’anno il trentesimo anniversario dell’Amiga, il computer commercializzato dalla Commodore nel 1985 con il primo modello 1000, il successivo (e quello che ne decretò il successo) 500 con il fratello maggiore 2000 più espandibile e ‘professionale’, quindi l’evoluzione intermedia del 3000 fino alle ultime produzioni ufficiali, il 1200 e il 4000. Una macchina rivoluzionaria per l’epoca, utilizzata dai ragazzini per videogiocare grazie a caratteristiche tecniche estremamente moderne ma di grande impatto anche sul mondo delle produzioni video per via di una serie di accessori e applicazioni che la rendevano una piattaforma dal rapporto prezzo prestazioni estremamente vantaggiosa.

Ideato da Jay Miner (ex progettista Atari), quando l’Amiga fu rilasciato il termine multimedialità non esisteva, lo scenario informatico vedeva da un lato le serie piattaforme IBM e compatibili basate sui processori x86 di Intel (e sui relativi cloni), nate per servire il mondo aziendale, e dall’altro i cosiddetti home computer studiati per entrare nelle camerette dei più giovani (dai vari Commodore allo Spectrum), i quali con la scusa di imparare le nozioni di informatica in realtà passavano i pomeriggi a giocare. Intanto solo un anno prima (nel 1984) Apple aveva lanciato il Macintosh con il celebre spot trasmesso in occasione del Super Bowl: macchina, quella pensata da Steve Jobs, con la quale l’Amiga condivideva il processore centrale – Motorola 68000 a 16/32bit – introducendo però anche una serie di chip custom avanzati per gestire le diverse funzionalità, dall’accesso alla memoria alla video grafica fino al sonoro. Il tutto in modo integrato e coordinato, e senza la necessità di inserire schede di espansione. Per dare un’idea delle potenzialità del computer prodotto da Commodore (che ne aveva acquisito il progetto iniziale da Amiga Inc.), il primo modello prodotto offriva a un prezzo ragionevole un insieme di caratteristiche all’avanguardia come la capacità di eseguire più applicazioni in contemporanea (il cosiddetto multitasking preemptive), audio stereofonico a quattro canali, una palette di 4096 colori utilizzabili in misura delle diverse risoluzioni disponibili. Tutte qualità che lo rendevano superiore al rivale Atari ST, capace però di imporsi fronte musicale grazie all’interfaccia MIDI integrata e ai relativi sequencer.

Dal punto di vista software al servizio degli utenti c’era il sistema operativo AmigaOS che, attraverso una shell (ossia la riga di comando) o l’interfaccia grafica a finestre Workbench controllabile via mouse e a colori, permetteva di spaziare tra le varie utility e applicazioni disponibili, nonché accedere ai file memorizzati. Al di là dei giochi di grande successo che contribuirono alla sua diffusione, l’Amiga ha potuto vantare negli anni una library eccezionale anche per quanto riguarda il lato più professionale del computing, in particolare relativamente al comparto grafico (non a caso al lancio del 1000 partecipò anche Andy Warhol). Tantissimi i pacchetti disponibili, alcuni dei quali nati proprio su Amiga per poi passare successivamente su altri computer, in un’epoca in cui per fare un rendering bisognava aspettare dei giorni. Certamente non erano macchine prive di difetti, con qualche bug (chi può scordare i famigerati Guru Meditation?), ma l’innovazione che trasmettevano poteva valere qualche imperfezione.

Nonostante le vicissitudini economiche di Commodore che ne hanno poi sostanzialmente bloccato l’affermazione nel tempo, l’Amiga oggi ha ancora diversi seguaci che ne seguono le evoluzioni del sistema operativo (arrivato alla versione 4.x) nonché le piattaforme hardware che dopo il fallimento della casa madre sono comunque state portate avanti da altre aziende, con l’ultima incarnazione ufficiale battezzata AmigaOne (sostanzialmente una motherboard basata sui processori PowerPC). Un’occhiata, anche solo per curiosità, vale la pena dargliela.

Paolo Morati, in esclusiva per Indiscreto

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