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House of Cards quarta stagione, giocata ogni carta

Stefano Olivari 27/04/2016

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Il primo mercoledì senza House of Cards ci intristisce ma in fondo anche un po’ ci solleva, complice la semifinale di Champions, perché come tutte le serie tivù ambientate fra Casa Bianca e dintorni anche questa, pur notevolissima, si stava un po’ incartando su se stessa. In questa quarta stagione il ticket Underwood presidente-Claire vice era telefonatissimo, ma non per questo è stato un brutta idea, prendendo in giro i tanti ticket marito-moglie che di fatto hanno governato gli Stati Uniti nella storia moderna, con vette inarrivabili raggiunte da Bill e Hillary Clinton (la loro atroce eredità sono stati i cinesi nel WTO, mentre noi popolo bue discutiamo di Jack Ma e Suning). Sono aumentati i momenti, spesso esilaranti, in cui Kevin Spacey si rivolge al pubblico, mentre Robin Wright è non da oggi nel nostro pantheon milfico. A funzionare meno è stato il resto: dalle trame politiche oltre i confini della verosimiglianza, come se tutti tranne Frank fossero stupidi (senza logica il comportamento del lobbista Remy e della politica Jackie), ai personaggi di contorno che hanno stancato a cominciare dallo psicopatico Doug Stamper che adesso ha cattivi progetti riguardo a una vedova (vedova per colpa sua, ovviamente). Ci sono sempre pennellate geniali, come il candidato repubblicano Convay tossico di selfie e social network, la morte della madre di Claire utilizzata a scopi elettorali o il biografo-amante tormentato e acuto, ma quello che doveva dire House of Cards l’ha detto. Con la campanella dell’ultimo giro suonata dall’attentato al presidente, che in queste serie non manca davvero mai. Rimane però intatta nella sua forza la grandissima storia di una coppia che è stata capace di superare ogni finzione, almeno al proprio interno, per conquistare il mondo con ogni mezzo. Anche il terrore. La storia politica, invece, ha giocato quasi tutte le sue carte ed è anche per questo che lo sceneggiatore, Beau Willimon, non firmerà la quinta serie che è già in programma. Che ovviamente vedremo, pur avendo maturato una certa stanchezza nei confronti di modelli e riferimenti troppo statunitensi. Non siamo riusciti ad andare oltre il primo quarto d’ora di 22.11.63, per dire. Ma Trump potrebbe ridarci entusiasmo.

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