Basket

Tanti piccoli Badoer

Oscar Eleni 13/02/2012

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di Oscar Eleni
Il rischio Cinciarini, il giudizio sui Datome, il Giganti di Menichelli, la risposta di Torino, il mestiere di Pianigiani, l’ora di Doron Perkins e la palestra di Brumatti. Voti a Lega, Olimpia, Lin, Rubio, Sacchetti, Calvani, Sacripanti, Rai, Sky, Sportitalia, Mediaset, Meneghin, Sassari, neve e Geppy Cucciari.


 

Oscar Eleni dal colle delle quaglie, Moncalè, Mons Calerius, conosciuto da tutti come Moncalieri, dove ci siamo rifugiati aspettando la coppa Italia del fine settimana a Torino per non sentire il freddo sferzante delle baggianate della Milano confusa da San Siro al Forum, per non ascoltare i prelati di sventura che vorrebbero farci sentire davvero diaconi di uno sport minore soltanto perché quattro minchioni si dimenticano di far firmare una minchiata a giocatori di basket, che fanno i prefetti da oratorio delle mansuete perché restiamo in silenzio davanti al voltafaccia di Trinchieri sulla scelta di Cianciarini come pilota italiano della Bennet, un po’ come fece la Ferrari con Badoer. Cantù ha fatto benissimo a rischiare su un ragazzo che ha testa, maroni, che sa cosa vuole, che deve assolutamente fare ancora tante lezioni private in eurolega e poi in Nazionale per poter prendere coscienza vera di se stesso, era quello che consigliavamo al Melli che ha voluto restare prigioniero nel cinema a tre dimensioni dell’Emporio che non ha tempo per domandare come può un tipo da partite come quella di Kazan fare disastri come in quelle seguenti.
Perché fra i pochi giocatori italiani da euroteatro si vive con la teoria spiegata bene da Luigi Datome alla fine della volata vinta sul campo di Masnago grazie anche ad un suo tiro da tre punti che ha sigillato una partita identica, a parte il risultato, a quella dell’andata, quando sulla panchina di Roma c’era Lardo e nella Varese segnava anche Justin Hurtt poi licenziato come l’allenatore ligure di Roma. Il Datome pensiero, davanti ad un risultato positivo, nel cuore di una stagione controversa per Roma che ha mandato il proprietario sull’Aventino e non soltanto per cercare aree edificabili, ci chiarisce da dove nasce questo male della pietra che hanno i giocatori anche di qualità: ”Quando vinci dimentichi tutte le puttanate (eh no, caro), quando fai certi tiri decisivi se li segni sei bravo, se sbagli sei uno scemo”. Capito come ragionano. Sono intimiditi dal giudizio esterno, non vogliono passare per scemi, insomma giocano da prigionieri, senza mai sentire la gioia di quello che fanno, preoccupati dal contorno, quando, invece, come dice il Pianigiani ecumenico in toga azzurra, questi giovanotti dovrebbero capire quanto è duro il pane lontano dalle carezze di chi li ha sempre protetti anche quando, per non passare da scemi, passavano, perdendola, la palla decisiva, scaricando su altri la responsabilità.
Ma torniamo a Moncalè, o anche monte dei Cavalieri, perché abbiamo voluto questo osservatorio, sopra il Real Collegio Carlo Alberto dove studiavano i Savoia, non tutti ci sembra di capire guardando gli eredi di oggi, nel ricordo di Gianni Menichelli, compagno di viaggio per tanti anni, uno che partecipò al varo dei Giganti del Basket che ora è fra le testate quasi estinte, con gli stessi problemi del Superbasket che non possiamo lasciar morire nel sabba di chi vorrebbe farci sentire poveri grulli nell’isola di uno sport che non c’è, anche se grulli lo siamo davvero perché a noi questo basket dice sempre qualcosa che va oltre i pesi e le misure per quello che deve essere popolare, per quello che può essere presentato meglio, sapendo che in periodi di tirannia bisogna essere fuorilegge per godersi la foresta dove abbiamo avuto un’infanzia felice. Moncalieri perché ci abitava Gianni il sognatore, l’uomo delle frittate con i ranuncoli, il piccolo genio che aveva un gatto speciale chiamato Zoff che parava tutto e parlava coi topi con l’ironia del prof Guerrieri.
Siamo saliti in collina per respirare un po’ meglio, cercando di capire, guardando dall’alto, come potrebbe reagire Torino ad una finale di coppa Italia senza una squadra locale o regionale. Noi confidiamo che l’organizzazione RCS faccia diventare l’evento una cosa speciale come sempre, pazienza se davanti a tribune magari non piene riceveremo la stessa lettera dalle fortezze Bastiano del giornalismo che le canta a quasi tutti, eh sì, certi eroismi sono meno evidenti quando si tratta di passare sopra tutte le puttanate dei reucci locali, da Milano a Siena, da Bologna a Pesaro. Capita un po’ come con gli arbitraggi perché qui nessuno ha mai sposato la filosofia Boskov che è certo più difficile da spiegare in uno sport dove i rigori sono troppi e gli arbitri non sembrano avere tutti la stessa scuola. Guardare dall’alto e poi cercare calore dentro l’arena dove Siena è ancora la grande favorita per un poker di coppa Italia che fotografa bene la mezza stagione agonistica, lasciando l’immagine che poi si ritrova anche alla fine, perché l’anno scorso le finaliste di Torino furono poi anche quelle che si giocarono lo scudetto.
Siena numero uno e Cantù numero due anche questa volta. I detentori perché hanno trovato una loro anima come succede dal primo giorno in cui Minucci affidò la squadra a Simone Pianigiani. Uno che allena, pensa alla squadra, a come farla rendere al meglio quando è completa, quando non è costruita con tutti i pezzi al posto giusto, uno che fa solo il suo mestiere mentre ha colleghi rampanti che vorrebbero invece occuparsi di tutto, proprio di tutto, persino dei veli di una carta igienica che per molti dovrebbe essere più ruvida. Ora valuteremo la resistenza mentale e fisica alle tre eventuali partite che dovrà giocare in quattro giorni per arrivare al successo.
Cantù ha respirato profondo, non aveva mai avuto tanti giorni di riposo in questa stagione e con l’innesto di Doron Perkins può dire di essere pronta ad esplorare i punti che sembrano più deboli nella cinta senese, anche se prima di pensare alla finale sarà meglio occuparsi di Avellino che ha la benzina per fare almeno un grande dispetto in ogni coppa, come sanno bene quelli della Milano del mortificato Peterson dell’anno scorso quando il Nano diceva le stesse cose che oggi illuminano il pensiero dello Scariolo infelice. Poi, dopo, Avellino, ci sarebbe da valutare se è meglio trovare un verdone pesarese o un capodoglio veneziano. Queste due hanno la leggerezza delle squadre che se la godono una settimana del genere. Dalla parte di Siena non possiamo credere che Sassari troverà in Siena lo stesso ventre molle dell’Emporio Armani, che dovrà preoccuparsi della Virtus dove tutti i priori hanno messo con troppa fretta nella vetrina della fiera cestistica ben sapendo che Finelli, per fare i capolavori che lo hanno portato così in alto nella classifica, dopo i cazzotti e la bandiera bianca di Ti Mac, ha bisogno, sempre, di una squadra brillante nel fisico, nella mente, ha necessità di giocare con al massimo sei uomini, perché appena arriva dalle parti di Luca Vitali e va oltre, perde sostanza difensiva, ritmo, qualità.
Pagelle perché qui all’osservatorio dobbiamo mettere giù i materassi aspettando che qualcuno ci faccia riscoprire i posti magici dove Menichelli regalava alla nostra vista la Torino più bella, al nostro palato i vini più buoni e allo stomaco le cose che soltanto il Piemonte offre sempre al viandante e sarebbe davvero bello se, nel ricordo di Gianni il suo amico Antonio Tavarozzi, compagno di viaggio alla Stampa, compagno di viaggio per tanti anni e soprattutto adesso adesso che

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