Il Sanremo che vorrei

11 Luglio 2014 di Paolo Morati

Sanremo

Nel nostro umile ruolo di appassionati di musica italiana ci permettiamo di inviare con molto anticipo a Carlo Conti qualche richiesta relativa all’organizzazione del prossimo Festival di Sanremo, del quale sarà anche direttore artistico. Considerazioni su come ci piacerebbe vederlo e soprattutto ascoltarlo, al di là di quelli che potrebbero essere i risultati di pubblico. Cominciamo da quanto secondo noi non dovrebbe esserci il prossimo anno all’Ariston: gli ospiti. Se si deve farlo, che sia di nuovo il Festival della Canzone al 100%. Basta personaggi con film in uscita, testimonial di qualsivoglia iniziativa, comici, siparietti e attori di fiction prossimamente sulla RAI. E basta anche a monologhi socio politici che non servono a nulla in tale contesto, al netto delle buone intenzioni. Insomma puntare tutto sulla musica, riducendo la durata delle serate: una canzone dopo l’altra, con una breve presentazione dell’artista con filmati e uno scambio di parole, per tre ore serrate senza chiacchiere inutili.

Capitolo canzoni. In gara nel 2015 almeno una ventina di brani come ai vecchi tempi (eliminare la doppia proposta delle ultime edizioni), senza farsi prendere dalla mania del nuovo e di nicchia a tutti i costi. Non ci piacciono insomma le esclusioni generazionali a priori e tantomeno i pregiudizi con tanto di bilancino dei generi. Del resto la visibilità che Sanremo ancora offre in cinque serate (ecco noi le riporteremmo a tre) per alcuni artisti vale parecchio, compresi quelli che lo hanno snobbato per anni, salvo magari poi puntare ad andarci per vincerlo in carrozza. E se si ha una bella canzone da promuovere (o promuoverti) si va comunque in gara e non a fare le superospitate con tanto di ringraziamenti del presentatore.

Ma il cambiamento che ci piacerebbe vedere di più riguarda le votazioni, con la formula presa pari pari dallo Eurovision Song Contest: punteggi da ogni Regione con classifica che si compone in diretta, mantenendo il mix giurie-televoto. Lo show – che non è superato ma va solo razionalizzato – ne godrebbe anche per via del campanilismo che in Italia resta sempre molto forte e (forse) le classifiche sarebbero anche un po’ meno scontate, con qualche possibilità di analisi e dibattito in più. Confidiamo quindi in Carlo Conti perché pensi a un vero Festival della Canzone Italiana e non della Televisione con contorno di musica. Altrimenti dopo sessantaquattro edizioni che gli si cambi nome.

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