Piccolo Grand to Grand amore

30 Settembre 2013 di Silvana Lattanzio

274 chilometri con oltre 6.000 metri di dislivello, tutti affrontati in autosufficienza. Tante le nazionalità rappresentate: 113 i partecipanti, il 37% donne, schierati sulla linea di partenza ai bordi del mitico Grand Canyon, una delle sette meraviglie naturali del mondo. Corsa e cammino fino all’ultima tappa, 6 in tutto, ai limiti del Grand Staircase. Siamo nell’affascinante Far West. Da qui il nome Grand to Grand. Hanno incontrato di tutto lungo il loro percorso: dagli sterposi bush alle rosee sabbie del Coral Pink Sand Dunes, attraversando foreste e scalando montagne, il tutto fuori pista in un vero e proprio cross country. Ma facciamo un passo indietro.

Ritrovo a Las Vegas, il grande luna park a cielo aperto, fra casinò e negozi: qualcuno avrà la tentazione di fermarsi lì? Nella hall dell’albergo gran fermento tra gli atleti di ogni nazionalità che chiacchierano, socializzano e mangiano, per caricare le batterie, consci di quello che li aspetta. Volti tirati, gambe nervose, gambe abituate a macinare chilometri. Si parte per Kanab, non certo fra le città più note d’America ma con una sua importante storia. A cena briefing di Mr Colin e consorte, Tess, sempre presente, sempre disponibile. Alle pareti foto di John Wayne ricordano i gloriosi passati di set di film western e serie televisive. Kanab è infatti soprannominata “la piccola Hollywood”. Su grandi auto 4×4 la colorata carovana si sposta per raggiungere il luogo di partenza. La strada si allunga e si snoda a perdita d’occhio, verso il niente, regalando una grande sensazione di libertà, di “tutta la vita davanti”. Si abbandona la Route 89 per salire su fuoristrada e affrontare sterrati che portano al Camp 1. Si para davanti il massiccio rosso del Grand Canyon, il Colorado River scorre tranquillo ai suoi piedi mentre un cartello avvisa: “Wilderness access”.

Già la prima tappa mette a dura prova gli atleti: quasi 50 i km da correre tra cactus e single track, ma una volta arrivati al Camp 2 la fatica presto si dimentica e l’allegria torna contagiosa. Scambi di consigli e barrette per il giorno dopo al “bar” da campo, che diffonde musica dall’altoparlante (eh sì, siamo in America, bellezza!). Di 43 chilometri è la seconda tappa da correre ancora zigzagando tra cactus e spine per poi salire attraverso il Navajo Trail, fino al Grand Staircase View Point. Vista mozzafiato che ripaga delle fatiche. Al campo, appena cala il sole e seguendo il ritmo della natura, i più si ritirano nelle loro tende e, ficcati nei loro sacco a pelo, cercano di dormire, ma riuscirci è un’impresa: per tutta la notte il vento urla così forte che sembra voglia strappare via le tende da sopra le loro teste.

Ed è così che si arriva alla tappa più temuta, anzi, al “tappone”, quello di 85 chilometri. Qui gli atleti non si sono proprio fatti mancare niente: da dure ascensioni a morbide sabbie e stretti viottoli nella foresta, da affrontare anche di notte nella sua parte finale, con il solo ausilio della lampada frontale. Il primo all’arrivo, anche in questa tappa, è l’atleta spagnolo Vincente Garcia che, stanco, si avvolge nel suo telo termico e, almeno per un po’, non ha voglia di parlare. Un gruppo di donne, tra le quali l’atleta Mariluz Mahrer, unica rappresentante della Repubblica Dominicana, decide di affrontarla insieme, ognuna adattando il proprio crono pur di restare unite. La notte fa paura. Mariluz arriva sorridente, poi si fa seria e a una charm girl dice “Questa è troppo”, e si avvia verso la sua tenda. Accostato un altro atleta italiano, Luciano Rossi, quasi arrabbiato assicura che questa “sarà l’ultima, perché bisogna anche avere rispetto dell’età (Nda: ne ha 56 ma ne dimostra almeno 10 in meno)”. Paolo Vola, che sente il commento, ride: “Dice sempre così, poi si ritrova sulla linea di partenza di una successiva avventura”.

Passato lo scoglio più temibile, la consapevolezza negli atleti di farcela cresce sempre di più. Molti sono stati i ritirati nella notte, 15. Il giorno dopo è per il riposo. Quarta tappa: 42 i chilometri da correre, una maratona che, seppur con difficoltà a causa della molta sabbia da affrontare lungo il percorso, viene conclusa da tutti. “Il più è fatto, domani ancora solo un’altra maratona”. Ridono gli atleti, una maratona qui diventa “solo una maratona”. Rapido cala il sole, la notte su queste montagne è fredda. Si accende un falò attorno al quale si fanno chiacchiere e ci si scambia consigli. Good luck per domani, la penultima tappa.

Grande fermento al campo, stretching e risveglio muscolare per allentare le tensioni. Allo start il colorato serpentone di runner si allunga sullo sterrato. Sullo sfondo un cowboy sul suo cavallo, guarda incuriosito e chiude la coda. L’ultima tappa, la più breve (12 km) ma anche la più in salita, arriva fino agli incantevoli pinnacoli delle Pink Cliffs e parte del Bryce Canyon National Park. Sotto l’arco dell’ultima finish line tantissime le emozioni: atleti che traguardano con la bandiera della loro nazione sventolante tra le loro braccia alzate in segno di vittoria. Ce l’hanno fatta. Foto, lacrime, abbracci, facce felici, facce emozionate, facce da finisher. Magnifico traguardo dei top ten: dopo un errore di percorso del campione Vincente Garcia e di alcuni atleti di testa che corrono a fianco a lui, Paolo Barghini, comunque 3°, chiede alla ormai certa vincitrice tra le donne Katia Figini, di qualche passo avanti a lui, di aspettarli e così, tutti insieme, per mano e con le braccia alzate, concludono questo incredibile viaggio tra le montagne rosse dello Utah. Grande esempio di fair play sportivo. Tocco da maestro: pizza calda e bevande fresche per tutti.

Alla serata di premiazione, tutti al Marriott di Las Vegas. Premiati i vincitori e i primi di categoria. Tra questi, Paolo Vola, M60-69, e Mariluz Mahrer, F50-59. Commento a caldo di Vincente Garcia, 1° tra gli uomini: “Ottima l’organizzazione, il tracciato, bella la grande varietà di terreno incontrato. Solo che credevamo di correre nel caldo e invece il freddo è stato sorprendente”. Il giorno dopo, alla spicciolata, ognuno parte per la propria destinazione, trascinandosi dietro il proprio trolley e nel cuore una grande esperienza in più. Pensando già alla prossima avventura.

Carta di identità della gara: 274 km, 6.000 m di dislivello, 113 partenti 37% le donne, 6 tappe (12 km la più corta, 85 la più lunga), 23 anni il concorrente più giovane, 68 il più grande, 15 i ritirati, italiani primi fra le donne e terzi fra gli uomini, 5 gradi la temperatira minima. Non vediamo l’ora di tornarci.

Silvana Lattanzio, da Las Vegas (foto di Pierluigi Benini)

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