Ciclismo

Piatto Riccò

Stefano Olivari 09/02/2011

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di Stefano Olivari
Che differenza culturale c’è fra Riccardo Riccò e il vostro simulatore d’area di rigore di fiducia? Nessuna, anche se il commentatore marketing oriented del calcio ha a disposizione una valigia di luoghi comuni che vanno da ‘E’ stato bravo a trovare il contatto’ all’eccellente ‘Ha accentuato il movimento di caduta, ma comunque l’arbitro è lì per decidere’. Insomma, chi ci prova ci prova.
Senza un’etica sportiva di base il boskoviano ‘rigore è quando arbitro fischia’ deve valere per tutti. Non è ovviamente una difesa d’ufficio per Riccò, che anche nello stesso ciclismo è un caso limite e che comunque non può aver tenuto sangue nel frigo per 25 giorni all’insaputa di tutti, ma un’osservazione che riguarda il resto dello sport e quasi tutte le attività pubbliche. Non c’è alcuna convenienza materiale nell’essere onesti: perchè un’operaia dovrebbe guadagnare mille euro al mese e sopportare le avances del caporeparto quando in versione escort potrebbe in un’ora raccattare la stessa cifra magari scegliendosi un cliente che non le dispiace? Riccò è figlio del nostro mondo, che ad andar bene può punire i colpevoli in maniera laica (hai fatto tot e pagherai tot) ma che non può certo educare né loro nè il resto dell’umanità a colpi di squalifiche. Noi ammiratori delle imprese d’altri tempi (sì, dei tempi in cui non c’era l’antidoping) e dei palloni d’oro al gh non siamo insomma meno colpevoli di Riccò. Lui è stato scoperto ed è il demonio. Chi si è ritirato al momento giusto oppure è socialmente protetto può andare invece avanti a colpi di spot.

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