Non è uno sport per vecchi

13 Aprile 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

La storia del basket italiano, messa insieme senza alcun pretesto tipo premiazioni, operazioni di pseudo-beneficenza, iniziative commerciali: solo il piacere di stare insieme, incredibile ma vero. Impresa che due settimane fa è riuscita al marchese Vittorio Dal Pozzo, che nel suo palazzo (non scherziamo, esistono davvero sia il marchese che il palazzo) di Oleggio Castello, provincia di Novara, ha riunito decine di personaggi che negli anni Sessanta e Settanta sono stati decisivi per la storia non solo italiana del gioco. Dal Pozzo (centro al Mondiale brasiliano del 1963, settimo posto con gli azzurri di Paratore), che con i suoi 2,07 è stato uno dei primi lunghi italiani davvero lunghi, ha avuto il merito di non strutturare tavoli-ghetto in base alla fama ed alle coppe alzate: tutti insieme appassionatamente davanti ad un risotto cercando di collegare una faccia ad un nome, con esiti spesso divertenti. Tutto è partito da un foglio di Excel compilato con cura certosina da Guido Carlo Gatti, come l’amico Dal Pozzo azzurro anni Sessanta nonché primo grande atleta della pallacanestro italiana, e da un giro di e-mail che ha avuto risposte entusiaste. Dino Meneghin, Aldo Ossola, Marino Zanatta, Ottorino Flaborea: una Varese da Coppa dei Campioni, con un Toto Bulgheroni in grande forma che è venuto a salutare all’ora del dolce. Qualcuno gli ha chiesto di rientrare nel basket, e non sembrava una battuta, ma al momento è troppo impegnato come banchiere e golfista. Il c.t. di oggi Recalcati, quello di ieri Gamba, gli arbitri Duranti, Vitolo, Albanesi, Baldini e Morelli. Uno che con i direttori di gara non andava proprio d’accordo come Paolo Vittori, Joe Isaac che allena la squadra dell’università di Castellanza in serie D, il professor Dido Guerrieri che vive metà dell’anno a Seattle e metà a Sesto San Giovanni, Marcello Ticca che in televisione appare spesso come docente universitario di igiene alimentare e mai come ex colonna del basket romano, il luminare di ortopedia Claudio Velluti che all’Olimpiade del 1960 rinunciò alla convocazione per l’atletica (salto in alto) puntando sul basket e rimanendo con nulla in mano, una quantità di nomi notissimi da riempire l’elenco telefonico: Giancarlo Sarti, Giandomenico Ongaro, Dado Lombardi, Alberto Merlati, Nane Vianello, Gianfranco Pieri, Angelo Masocco, Romano Forastieri con la moglie Licia Toriser (lui ottimo giocatore e primo allenatore della All’Onestà Milano in serie A, lei azzurra e campionessa di un grande Standa-Geas), Giusto Pellanera, Augusto Giomo, il conoscitore di tutto e tutti Dante Gurioli. Duecento presenti, arrivati da ogni regione per tre ore di gioia pura, e pochi assenti: chi per motivi di salute e chi per motivi di campo (ad esempio Massimo Cosmelli, direttore sportivo di Livorno, che era impegnato a Pavia). Dal Pozzo che chiede a Gatti se sia in possesso del filmato Rai del famoso Italia-Francia del 1963, con il suo canestro della vittoria all’ultimo secondo (partita che ha fatto epoca anche perché trasmessa integralmente dalla Rai), Vittori che abbraccia arbitri con cui ha litigato per tutta la carriera, qualche filippica contro il tiro da tre punti che ha rovinato il gioco, molta autoironia sugli inevitabili acciacchi ma anche ammirazione per chi è in forma (i 71 anni di Vittori sono strepitosi), nessun amarcord triste e un solo lungo discorso: non del presidente federale, venuto a prendere una boccata di aria pura, ma dello spiritoso ex presidente di Lega Gianni Corsolini (con battute sugli effetti del cioccolato di Bulgheroni) che ha anche regalato a piene mani copie del suo agile ‘Sessant’anni della mia vita con gente del basket’. Non prima di avere implorato Gurioli di ammetterlo dopo decenni di lista d’attesa al Canaglia Club, una specie di loggia massonica basata su basket e scherzi. Poi le associazioni mentali si sono sprecate: un quintetto da Olimpiade di Roma (Gamba, Vittori, Vianello, Lombardi, Pieri) vicino alla finestra, uno da Tokyo 1964 nella sala in fondo e un altro da Messico 1968 in giardino. Non si è sentita alcuna esaltazione acritica del passato, segno che al castello non c’erano vecchi.
(Pubblicato su Superbasket)
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