Basket
Nero Armani
Oscar Eleni 23/05/2013

Oscar Eleni da Cannes dove ha portato gli ex nemici Artiglio Kenney e Gengis Dino Meneghin. Puttanate, erano grandi sul campo e fuori, un solo episodio fortuito ingigantito che il Peterson a rischio vita ha diffuso nei messaggi mattutini all’America ignara, per rifarci il trucco e riprendere vigore nel cinema del silenzio, naufraghi come il sempre bellissimo Redford, sempre bellissimo lui, non certo chi scrive, forse Arturo lo è ancora anche se Basilio vorrebbe portarlo dal medico perché cammina storto, forse anche super Dino che qualcuno candida (candidamente?) come nuovo presidente dell’Olimpia per lasciare che Livio Proli faccia un passo indietro alla sua maniera.
Film già visto quando salvarono capra, ma non cavoli, con la riesumazione del Dan Peterson passato in comunità per scoprire il bene, la conduzione familiare del gruppo nella illusione che dentro il deserto degli affetti dove si costruiscono carriere ci potesse essere la miniera da dove escono gli uomini squadra. Balle. Per costruire i gruppi si deve arare all’alba delle stagioni e poi lavorarci sempre, con il radar per capire chi ti sta raccontando musse come avrebbe detto il nostro carissimo, amatissimo e ora tanto rimpianto don Gallo. Per accorgerti dell’imbroglio non devi andare dal dottor Freud, né parlare con gli agenti o con i loro servitori sciocchi, né lasciare spazio a chi semina vento e ha sempre raccolto tempesta con ricatti, minacce, liste di proscrizione. L’ultima l’hanno fatta a Milano, proprio per la cena in onore di Arturo Kenney, la penultima quando hanno messo alla porta Fabrizio Frates e poi, sapendo che il silenzio porta a compimento contratti spezzati, ci hanno giocato sopra. A titolo personale dicevano cose. Ufficialmente altre.
Ora sono tutti sulla spiaggia a raccogliere conchiglie per capire se si sente ancora il mare di Giorgio Armani mentre Matteo Boniciolli ci saluta dall’elicottero del suo patron Astana che vigila sul Giro d’Italia dell’italiano che vola in rosa come il Matteo da combattimento ha fatto sulla via della seta tenendosi il magone per tutti i veleni che gli hanno scaricato nella borraccia ai tempi romani e non soltanto. Altro sprofondo rosso da 20 milioni di euro per la Milano da non bere. Loro sapevano, loro sanno. Ma cosa sanno? Ha ragione don Zaninelli, meglio riscirivere il libro su Cesare Rubini e mandare la prima copia proprio a re Giorgio per fargli sapere che esiste già una storia Olimpia, con la necessità di essere soltanto ravvivata con la forza delle idee e quella economica.
Gli hanno fatto vedere tribù di bambini come succedeva col Duce quando nelle parate volavano sempre gli stessi uccelli di fuoco, hanno usato la strategia crudele dell’azienda, tu sì, tu no, qui si fa beneficenza come diciamo noi, qui abbiamo bisogno di cambiare, basta villette Liberty dove batte il cuore della città che dovrete vivere, dove ogni crepa sul muro ha una storia di basket, di sport, di vita, tutti sulla battigia al cloro del Lido. Non dovevano ingaggiare quelli che avevano già fatto la lunga marcia, accidenti noi siamo il nuovo che avanza come gli indiani delle barzellette, ma almeno chiacchierare con chi aveva già bonificato certe paludi a livello sportivo, di politica sportiva, nel reclutamento. Niente. Tutte le scelte tendevano a cercare il nuovo bonzo da sacrificare in altre terre senza fondo. Un tuffo nel mare di Pesaro, un altro in quello di Trieste, poi la goffa rincorsa per dimostrare che se porti Portaluppi hai riportato la vera storia Olimpia in casa. Magari è anche vero, certo non lo metti in imbarazzo con quella farsa degli omaggi a pagamento per ex che alla società hanno dato qualcosa: soldi, scudetti, coppe. Mah.
Ora dicono che la tribù dei Proli farà un passo indietro. Si dice così quando non esiste più incenso da bruciare, intanto come eredità a chi verrà dopo hanno lasciato il loro modo di essere nello sport che volevano rinnovare: zero tituli, zero in tutte le partite che contavano davvero, una bella campagna ad escludere invece di tentare di includere più gente possibile, più credenti per rendere forte quella che si illudevano potesse essere una nuova chiesa di sport con lo stesso campanile dove lavora l’artista. Per capirli ci siamo segnati la nuova campagna abbonamenti aperta molto prima che si iniziassero i play off, convinti che lo slancio della squadra rieducata, da chi?, rimmessa in forma anche per difendere, da chi?, avrebbe fatto aumentare le code al botteghino. Per essere chiari hanno proposto ben 14 ordini di posti dentro il Forum. Una goduria per famiglie da separare all’entrata perché se davvero è crisi cosa complichi la scelta di gruppo per andare a vedere le partite.
Non stiamo parlando dei costi, ma della pseudofilosofia gestionale, quella che fa scortare giocatori pavidi fuori dai palazzi con guardie del corpo che neppure Obama. Una volta andavano tutti insieme sul cellulare della polizia mentre piovevano pietre. Stranamente erano squadra, gruppo e, si dice, basta alzare il naso sul tetto del Forum, vincevano pure qualcosa. Nei biglietti per le famose sedie d’oro, capoccioni messi in bella vista per oscurare il lavoro di chi dovrebbe vedere, collocato dietro certe mise da balera, questa gente che ama spararle sul legame alla fierezza guerriera del club non ha mai pensato, come capita al Real, al Barca, alle grandi società, che ci debba essere una tribuna per chi ha fatto la storia, senza pastoie burocratiche, solo tessere d’onore nel ricordo e per riconoscenza, perché chi c’era ieri, magari, oggi non è così ben messo come quelli che entrano ed escono negli alberghi del nuovo basket. Adesso abbiamo allenatoroni che nelle hall degli alberghi urlano, scimmiottando il vero Rubini, che a loro spetta soltanto la suite. Una epidemia diffusa che arriva persino ai piedi del monte di Azzurra dove Petrucci fa gli scongiuri sapendo che sarà dura, durissima in Slovenia.
Ciao Milano, lo scudetto si giocherà altrove. Ora i sorteggi, sorteggi?, per gli arbitri ci diranno chi è il mago delle palline da scegliere perché, casualmente?, alla Siena in disgrazia economica, con Minucci isolato dal sistema che lui stesso aveva creato nel basket, arrivano gli arbitri che in passato sembravano in una lista nera ben custodita dal responsabili per i direttori di gara nella Lega. La terna dell’ultima sfida Milano-Siena, a parte Sardella non avvisato, o magari informato, stranito per certi furori da fischio, ha spiegato bene come sono cambiate le cose, cioè ci sono altri sceriffi in città, ma la mentalità è sempre la stessa e allora comprendiamo bene perché uno bravo come Sahin è addirittura ostacolato nel suo lavoro dentro questo ring dove le corde strangolano i bravi per lasciare spazio ai bravi dei don Rodrigo di turno.
Milano fuori, il sogno proliano di una finale Roma-Milano andato a monte come l’Emporio. Succede. Vogliamo parlare dei campi dove si giocheranno le semifinali? Lasciamo perdere, direbbe il Meneghin che nel suo viaggio presidenziale ha scoperto la vera natura del mondo che voleva ripararsi dietro le sue spalle: per questo adesso se torna a vedere una partita si porta i tappi per le orecchie. Avete dato una caratura alle ultime liti mediatiche? Ecco il mondo come lo hanno ricreato. Niente arguzia, poca ironia, soltanto livore. Ben ci sta.
Al borgo dei venditori di cipolle si domandano perché tanta rabbia con Milano visto che altri hanno fatto splash. Altri chi? Certo Sassari ha sbagliato la partita dell’anno per questa idea di leggerezza, di gioia condivisa nel gioco d’attacco al corri e spara che ha sempre reso difficile la vita del Romeo Sacchetti Lancillotto alla corte di Artù mascherati: la formula delle partite ogni 48 ore era un veleno che lui aveva già dovuto bere in Europa e in coppa Italia. Pensava di essersi mitridatizzato, ma il tempo passa e non è soltanto una canzone da fa suonare al Sam di turno. Doveva sapere che i Diener e il Thornton gli sarebbero saltati per aria, insomma aveva necessità di preparare strategie alternative, conservative per avere almeno uno scudo difensivo decente e di all’erta nei momenti come quello della sua settima contro Cantù. Certo il destino e il mistero agonistico dello sport gli hanno fatto un brutto scherzo: la sua nave della serenità contro il Barbanera Trinchieri dove gli ammutinati sembravano fin troppi se la presidentessa non parla più con il manager che ha costruito la storia della nuova Cantù dopo gli Allievi, se lui ha cercato di far capire al mondo che era il solo demiurgo del Cantuchi. Nella tempesta si sono ricompattati perché dentro c’era pur sempre qualcosa coltivato nel tempo.
Per Sassari un frontale senza protezioni e capiamo la delusione, mentre capiamo meno questa moda dei giocatori, vinti o vincitori che lasciano i campi gesticolando, fingendo di essere eroi. Moda. Nuova moda. Ma dai. Sul campo si vedono los marones anche se le bragone di oggi nascondono tutto, vedi faraoni già pronti per la padella o per la piramide commemorativa e aveva ragione quel nostalgico della Bologna ormai perduta, a meno che Villalta non trovi l’oro oltre alla bacchetta magica, dicendo che non andava più al basket da quando avevano cambiato le misure delle mutande, perché a lui piacevano i sospensori in bella vista alla Baron Schull, almeno sapevi con chi avevi a che fare. Adesso sono tutti in maschera e col paradenti.
A Reggio Emilia non dobbiamo dire proprio niente: grande stagione, bel lavoro di gruppo e il domani sarà bellissimo se nessuno andrà ad invadere il territorio di competenza di chi è sulla stessa barca.
Pagelle nel cinema del basket che, purtroppo, non è silenzio e, cosa più grave, fa scrivere i copioni a della gente che dovrebbe stare al Bourgh del sciugalatt, insomma al mercato delle erbe meno nobili.
10 A Luca BANCHI perché ci è venuto davvero il dubbio che fosse lui l’anima vera della Siena esacampione dal modo in cui ha portato la nave oltre gli scogli di una stagione dove è accaduto di tutto, prima e durante la battaglia contro i nuovi mostri del sistema. Se votassimo adesso premieremmo lui per il capolavoro contro Milano, per la coppa Italia quando tutti stavano bene, per l’Eurolega giocata al meglio fino a quando è saltato l’impianto della luce interna e i giocatori andavano in ospedale. Mai un lamento, solo lavoro cercando di comprendere anche chi, per sua natura, avrebbe messo nei ripostigli dove a Siena conservano la terra per la piazza.
10 bis: Al POPOLO della DINAMO SASSARI per come ha salutato, fra lacrime e rimpianti, i suoi eroi. Sardara non dovrà fare passi indietro come quelli di Milano, lui ha già fatto passi avanti di 5 anni.
9 A Daniel HACKETT che sfidando rosa confetto, rosa orgasmo, Gentile, il mondo, ha fatto capire come sono fatti gli uomini anche di questa generazione al don Sergio Scariolo che in estate lo liquidò in 10 minutini dicendo che doveva andare ad ingaggiare altri giocatori. Non sarà sempre il più bravo. Spesso ha peccato e lo sa. Ma se gli chiedi l’anima lui te la regala come diceva la Betta pesarese parlando di questo figlio adottato da una città di basket che ora si domanda persino se non sarebbe meglio chiudere.
8 Al DATOME che invita Roma a ballare con la squadra di Calvani. Ha fatto bene a scegliere la vita grama fra gente che doveva guadagnarsi davvero il pane, nell’anno dove i presunti fenomeni, dentro e fuori dalla società, erano andati altrove.
7 All’ARADORI da sbarco sul mare di Sardegna con la Cantù che ha scelto la strada del sacrificio collettivo rimandando ogni processo e ogni sfogo al dopo, quando le bocce saranno ferme. Eviti, però, le truzzate da bullo che maramaldeggia su una vittoria.
6 Al Max MENETTI che ci ha fatto divertire con il basket reggiano doc, dove la difesa aveva un senso e vi diciamo subito che non trovarsi la Trenkwalder, pur così povera di cambi nelle tonnare, deve essere un sollievo per Cantù.
5 Ai DIRIGENTI(?) dell’Emporio Armani che per giustificare il ditino alzato di Langford hanno parlato di insulti razziali nella città che ha venerato tutti i grandi mori e ancora adesso protegge e difende i suoi campioni senza badare alla fede, alla razza e alla religione. Una banalità bambinesca che fotografa tutta la stagione armanizzante. Certo che le trombette di Siena erano strazio, certo che si dovrebbero fermare le partite quando dalle tribune usano lo stesso fischio degli arbitri, certo che bisognerebbe andarsene tutti insieme se un coro ricorda al campione di avere una madre peccatrice, non fanno male solo i buu, ma il problema va affrontato senza dare giustificazioni ai giocatori maleducati. Lo sono in tanti, troppi e non soltanto per i gesti. E’ maleducato chi non lavora duro in allenamento per diventare più bravo e pensa di essere già arrivato. Ne hanno tutti, qualcuno più di altri.
4 Alla LEGA sfigata che si è trovata la polpetta avvelenata di una semifinale a Roma nel giorno della finale tutta capitolina della coppa Italia di calcio. Un disastro dover cambiare in corsa, anche se ci viene il dubbio che per certe cose sarebbe necessario avere visioni ed elasticità, prevedere, avere subito soluzioni di riserva che convincano anche questori prevenuti, gli stessi che martellano le frange del tifo ultras che il giudice del basket sembra non individuare dai fumosi referti arbitrali.
3 Alle SOCIETA’ in crisi che hanno accettato di buttare via quattrini per orari di gara costosi e nefasti, che non hanno mai fatto sborsare una lira a chi ti ruba anche il poco incasso che metti insieme. Non è per nostalgia che ci viene in mente Porelli quando consigliò, alla sua maniera pepolizzata, a chi aveva portato multe e squalifiche per la Virtus di presentarsi in sede al più presto se non voleva essere visitato a casa proprio visto che c’erano foto e testimonianze audio.
2 Ad Alessandro GENTILE, più che al Nicolò MELLI prigioniero del sistema balordo di una squadra sbagliata, perché nella stagione dei suoi splendidi progressi ha dimenticato di ripassare, da solo, di notte, le parti in commedia dove si chiede ad un giocatore di essere anche garanzia per la difesa. Contro di lui partita da canne al vento. Quasi sempre. Ai fessi che gli parlano di NBA risponda che deve ancora darci dentro tanto e non è vero che un grande giocatore si valuta per i punti che segna, ma sempre e soltanto per quello che dà alla sua squadra in termini di sacrificio. Hackett che lo ha cucinato in gara 7 non sarà ricordato per i 25 punti, forse anche per quelli, ma per essere stato l’uomo capace di far tenere la testa alta a Siena anche quando Brown sembrava deciso a volare altrove, anche quando vedeva gente smarrita cercare salute e posto sul campo.
1 Ai MATURI BASKETTARI che andando contro ogni ordine dei medici si sono organizzati per una cerimonia informale a calici aperti nel venerdì goriziano per poi puntare sulla Ghirada dove Buzzavo ha portato anche il presidente federale Petrucci così nostalgico del mondo che aveva trovato quando al suo fianco marciava Cesare Rubini, quando c’era da proteggere Vinci dalla sua santa passione, quando sembrava che il basket avesse un’anima diversa come ha scritto il Beccantini in rosa vedendo la foto dell’ incontro fra Kenney e Meneghin da uomini maturi, due maturi baskettari che avremmo visto volentieri a Gorizia, nel nome di Pino Brumatti e poi alla Ghirada nel nome di tutti gli altri che ci hanno lasciato, ma che non dimenticheremo.
0 A Sergio SCARIOLO e Livio PROLI perché la loro stagione è stata davvero fallimentare e ora vorrebbero farci credere che la colpa è dell’altro o degli altri.
Oscar Eleni, giovedì 23 maggio 2013