La vittoria di Mancini e Franco Rossi

12 Luglio 2021 di Stefano Olivari

Del trionfo della Nazionale a Euro 2020 è stato detto tutto, noi oltre che per il presente di una squadra unita ma senza fenomeni (eccezioni Donnarumma, Jorginho, forse Chiesa) ci siamo commossi anche per quel certo clima da Italia ’90 che Mancini e Vialli, il primo in campo zero minuti e il secondo grande deluso di quel Mondiale, hanno rappresentato e compreso meglio degli altri. Nel loro abbraccio c’è tutto, senza parole. Soltanto lacrime e non soltanto le loro.

Certo oggi si è vinto e ieri ci si era fermati alla semifinale, ma un po’ alla Cuccia le emozioni si pesano e non si contano: non ci sembra che nessuno abbia mai celebrato il Mondiale del 2006, a 15 anni di distanza, e non è così difficile capire il perché, mentre Zoff, Tardelli, Bruno Conti e Paolo Rossi divennero divinità l’11 luglio (facciamo anche 5 luglio) 1982 sera, senza bisogno di effetto nostalgia. Non è insomma una questione di età: qualche trentenne di oggi si emoziona vedendo Toni o Perrotta? Ma vale anche per Buffon, Totti e Pirlo, almeno in chiave azzurra… Invece questa estate di Bonucci e Spinazzola, di Barella e Insigne, di Chiellini e Immobile, sembra avere qualcosa di diverso, qualcosa che sarà ricordato anche al netto della retorica patriottarda.

Tutto è già stesso detto, quindi, ma ci rimane una domanda importante: di tutto questo cosa avrebbe detto o scritto Franco Rossi? Il trionfo di Mancini è infatti anche un po’ il suo, per la quantità di tempo e di attenzione riservata all’attuale allenatore della Nazionale fin da quando era il pupillo di Mantovani alla Sampdoria, prima ancora dell’arrivo di Vialli dalla Cremonese. Un’amicizia fra due persone diversissime in tutto ma unite dal disgusto nei confronti di alcune categorie umane, nel mondo del calcio sovrarappresentate.

Un’amicizia cementata da tante trasferte, da confidenze privatissime, da gesti grandiosi (la beneficenza è silenziosa), da regali assurdi (come un servizio in porcellana per gustare meglio il manzo di Kobe), da passioni per ricchi (gli orologi antichi su tutte) solo che uno dei due non lo era, e sopravvissuta alla morte del cerimoniere Mantovani (informatore principe di Franco) e alla carriera di allenatore di Mancini, che in due decenni ha cambiato quasi totalmente pelle, anche nelle pubbliche relazioni (come c.t. fu imposto da Malagò, su suggerimento di Costacurta, non dallo Spirito Santo), mantenendo una sola caratteristica degli inizi: la credibilità totale nei confronti dei calciatori, anche quando le scelte, ed è accaduto anche in questo Europeo, sono discutibili. L’escluso di turno può arrabbiarsi, ma difficilmente pensa di non giocare perché ha il procuratore sbagliato, la squadra sbagliata (e Mancini ben sa quanto fosse diverso giocare nella Sampdoria rispetto ad una grande tradizionale) o per altri motivi non confessabili. Porcherie che fanno parte anche della storia azzurra, senza tornare troppo indietro.

Ma tornando a Mancini e Franco Rossi, ci piace ricordare la gioia assoluta di una telefonata del 14 maggio 2011: “Sono davanti a Wembley, con i biglietti che mi ha trovato Roberto”. Cosa che avrebbe potuto esaltare un appassionato di calcio generico, ma non un giornalista che era stato in duemila stadi e aveva conosciuto chiunque: cosa poteva mai fregargliene di Manchester City-Stoke City? Fra l’altro Franco il calcio inglese lo detestava: per lui un tocco di Caio, non si dice di Romario, valeva tutta la Premier League messa insieme. Quella vittoria in Coppa d’Inghilterra, con gol di Yaya Touré, un altro che ha sempre voluto bene a Mancini, diede però a Franco una gioia inferiore soltanto ad una ipotetica Coppa dei Campioni vinta dalla Sampdoria e non stiamo esagerando. Una delle ultime gioie, purtroppo, prima che iniziassero la malattia e il resto.

Tutto quanto abbiamo scritto è non solo per ricordare una persona che da otto anni ci manca, i pretesti sarebbero mille, ma per sottolineare che non sempre vincono i cattivi anche se esserlo aiuta. Bravo Mancini, perché con buona pace di chi vede una sorta di Rinascimento la rosa che aveva a disposizione non era come livello, ed in parte anche come nomi, troppo diversa da quella condotta al disastro da Ventura.

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