Attualità

La statua di Montanelli

Stefano Olivari 15/06/2020

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La statua di Indro Montanelli che scrive con la Lettera 22, che dal 2006 si vede nei giardini pubblici di via Palestro, a Milano, è stata sabato sera imbrattata di vernice rossa e nera da un collettivo di studenti. La motivazione, visto che la statua è lì da 14 anni, Montanelli è morto nel 2001 e la vicenda della moglie-bambina eritrea è nota da mezzo secolo, era chiaramente quella di sentirsi internazionali, una specie di Black Lives Matter per sfigati.

Subito è partita la sfida fra i sostenitori della sacralità della figura di Montanelli e quelli della riscrittura della storia in base alle sensibilità del presente, con il primo partito quasi dominante ed anche politicamente trasversale, visto che il conservatore Montanelli aveva iniziato a raccogliere simpatie fuori dal suo mondo quando le Brigate Rosse lo avevano gambizzato (nel 1977, proprio vicino a dove c’è la statua) e poi era diventato un idolo grazie ad un antiberlusconismo senile.

Per noi è facilissimo essere contro gli imbrattatori fuori corso e dalla parte di Montanelli: in casa nostra si leggeva il Giornale (oltre al Corriere della Sera, che molti milanesi comprano per abitudine anche quando è fatto da schifo) fin dal 1974, da bambini ci siamo appassionati alla sua enciclopedia I Grandi Fatti (potremmo citare quasi a memoria il fascicolo sulle Fosse di Katyn) e da ragazzi abbiamo letto avidamente la sua divulgativa, per noi un pregio, storia d’Italia scritta con Roberto Gervaso prima e Mario Cervi poi. Ultimi ma non ultimi i 14 mesi di lavoro alla Voce, fra i più belli della nostra vita.

Proprio per questo pensiamo che Montanelli avrebbe apprezzato anche la stupidità iconoclasta del collettivo studentesco, perché lui per primo credeva in una storia non statica ma rielaborata da chi la racconta. Se il sesso con una bambina di 12 anni poteva turbare poco chi era cresciuto con il mito del colonialismo (ma Montanelli era italiano e 12 anni erano inaccettabili anche per la mentalità italiana dell’epoca, come è chiaro dal codice Rocco), negli anni Settanta quando lui raccontò la vicenda e ancora di più oggi questa cosa fa rabbrividire.

Proprio Montanelli ha spiegato alle élite e al popolo che la storia non è accumulo di nozioni per studiosi o un elenco demenziale di battaglie per studenti, ma una materia viva: oltretutto spesso scritta dai vincitori, i cui servi sciocchi (di solito studenti) danno dei ‘negazionisti’ a chi mette in dubbio presunte verità che poi non sono altro che punti di vista, senza scomodare Rashomon.

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