La seconda vita di Cancelo e Antonio

Manchester City - West Ham è la sfida fra le due migliori squadre della Premier League del 2021 e fra giocatori, ognuno al proprio livello, che hanno cambiato pelle...

26 Febbraio 2021 di Roberto Gotta

Battere il ferro finché è caldo. Niente di così anomalo, volendo, se si parla di West Ham United, nome in cui nel 1900 si è tramutata la squadra originaria, quella del Thames Ironworks nata nel 1895 come… dopolavoristica: cantiere navale, martelletti usati magari non per battere il ferro rovente ma per assicurare che chiodi e viti restassero al loro posto anche in mare aperto, altrimenti erano guai. Il ferro è caldo perché il West Ham è quarto e nel weekend ha la trasferta a Manchester contro il City: per entrambe l’avversaria peggiore in questo momento, anche se il sospetto è che dopo 19 vittorie di fila il City non sia particolarmente preoccupato.

Al massimo la pressione sarà quella, spesso allucinante agli occhi del mondo esterno o delle persone normali, che Pep Guardiola mette ai suoi giocatori, alla ricerca di un perfezionismo comprensibile ma corrosivo, se è vero che un suo ex collaboratore, rimasto anonimo, ha ammesso qualche settimana fa che per un calciatore, specialmente se affermato e dunque non necessariamente bisognoso di crescita, può essere difficile assorbire anni e anni di sollecitazioni. João Cancelo, però, è affermato?

Miglior giocatore nella vittoria in trasferta di mercoledì a Budapest contro il Borussia Mönchengladbach, spesso tra i migliori anche in campionato, ci ha messo un po’ ad emergere, dopo l’arrivo dalla Juventus nell’estate del 2019: ma in questo anno e mezzo è cresciuto in maniera esagerata, e proprio in queste ore fioccano gli articoli che lo descrivono come nuovo Philippe Lahm, il laterale (di entrambe le fasce, proprio come Cancelo) che al Bayern Guardiola aveva trasformato in centrocampista, e pure di buon livello. La differenza, per ora, è che il portoghese copre entrambi i ruoli al tempo stesso: formalmente terzino sinistro o destro, alzi gli occhi dopo qualche minuto e vedi che dalla sua parte non c’è più, e si è trasferito accanto a Rodri in mezzo al campo, a portare palla, dare assist (uno e… mezzo, contro il Gladbach) e aumentare le possibilità di superiorità numerica dei suoi, che già sono difficilmente arrestabili a parità di uomini per ogni zona del campo.

Guardiola lo fa anche con Kyle Walker, spesso vagante in aree normalmente non appropriate, ma il difensore della nazionale inglese non ha le qualità tecniche del compagno di squadra, che è stato in grado di assorbire e digerire le costanti attenzioni guardioliane molto meglio di un altro terzino, Angeliño, che ha recentemente rivelato di essersi sentito deprezzato e maltrattato dall’allenatore catalano, reo di averlo ‘ucciso’ sul piano psicologico per la scarsa fiducia che emanava verso di lui.

Cancelo è solo uno dei problemi che il West Ham dovrà affrontare, replicando però con uno stato di forma che ha portato gli Irons ad ottenere 22 punti (dei 45 che ha) nell’anno solare 2021, seconda miglior squadra proprio dopo il City (33). Una serie di vittorie – sette in nove partite – nate in circostanze diverse, con un alternarsi di uomini decisivi che però non si scosta dalla presenza poderosa, anche se non costante per via di infortuni vari, di Michail Antonio, 30 anni, londinese di Wandsworth, uno dei quartieri a sud del Tamigi citati in questa rubrica due settimane fa. Quando Antonio era bambino, però, le famose gabbie per giocare a calcio a cinque non erano diffuse come adesso, e la sua trafila è stata più tradizionale, anche se contrassegnata da una serie di situazioni di stallo che lo avevano anche costretto a fare il bagnino per mantenersi.

Il suo primo contratto di un certo livello lo ha infatti firmato a 22 anni, nel 2012, con lo Sheffield Wednesday, prima di un trasferimento al Nottingham Forest per circa un milione e mezzo di sterline nel 2014 e del passaggio al West Ham nell’estate del 2015, sette milioni. Chi scrive ha avuto l’onore di vederlo giocare dal vivo tante volte, nella stagione 2015-16 da cui è poi nato il libro ‘Addio West Ham’, e l’Antonio di quell’anno era già l’Antonio di adesso: potente, dotato di una grande progressione, capace di giocare terzo di destra in attacco e a centrocampo e pure terzino. In quella stagione, peraltro, l’allenatore Slaven Bilic non lo aveva utilizzato praticamente mai fino a fine novembre, causando rara perplessità in tifosi che Bilic lo avevano sempre amato: ad un certo punto uno di loro aveva indirizzato al presidente David Gold un tweet con una foto di Antonio vestito normalmente, ma non nitidissima e senza citazione del nome, chiedendosi un aiuto per rintracciarlo. Si era parlato di atteggiamento non ideale in allenamento o di difficoltà di inserimento, ma dal 29 novembre 2015, giorno di una partita contro il West Bromwich Albion con suo ingresso a 8’ dalla fine, la sua presenza è poi stata più o meno costante.

In quella stagione in mezzo all’attacco c’erano Andy Carroll, Enner Valencia, Diafra Sakho e persino Nikola Jelavic, ma Antonio ebbe modo di dimostrare, pur giocando in un altro ruolo, la sua capacità di vedere la porta, soprattutto di testa. Suo ad esempio un gol fondamentale, quello della vittoria sul Tottenham del 2 marzo 2016, dopo 7’: fondamentale perché arrestò l’impeto verso il titolo degli Spurs, squadra che tanti anni prima avrebbe potuto avere Antonio nel proprio settore giovanile se la madre non gli avesse vietato il tragitto da casa con i mezzi pubblici, troppo lungo. Insomma, quell’Antonio era tutto ma non centravanti, perché in quel ruolo c’era troppo traffico.

Lo è diventato in seguito, per convinzione dei vari allenatori ma anche per necessità e scarso rendimento di vari compagni di squadra: non per nulla, con una scelta peraltro in parte sorprendente, a gennaio il West Ham ha ceduto (all’Ajax, per 22 milioni) Sebastien Haller, che dall’estate del suo arrivo, 2019 e per ben 45 milioni, aveva giocato 48 partite segnando 10 gol ma senza mai dare l’impressione di essere il presente o il futuro. Antonio l’11 luglio scorso aveva segnato quattro gol al Norwich, ma l’exploit di una giornata contro una squadra in disfacimento vale meno del rendimento continuo, dell’impegno, del talento magari non eccelso ma sublimato dalla determinazione e dall’occupazione di spazio, data la stazza. Anche per questo due mesi fa ha ricevuto un rinnovo contrattuale fino al 2023, e il suo lavoro è spesso il terminale di una manovra che a furia di adattamenti e variazioni l’allenatore David Moyes è riuscito a rendere costante e affidabile.

Il West Ham è tra le ultime squadre di Premier League nella classifica delle impostazioni offensive, con almeno 10 passaggi che si concludono con un tiro – o anche solo un controllo palla con velleità di tiro – nell’area di rigore avversaria: vuol dire, in parole povere, che l’approccio offensivo della squadra non è particolarmente elaborato, che la costruzione del gioco può anche avvenire dal basso, dal piede del portiere Lukasz Fabianski, ma che non si sviluppa in modo molto intricato. Che la squadra sia schierata nel 3-4-3 della parte centrale di stagione o nel 4-2-3-1 delle ultime uscite, fa poca differenza. In entrambi i casi i due in mezzo al campo sono una garanzia: Declan Rice, capitano (quando non entra l’ormai 33enne Mark Noble) a 22 anni, e il fenomenale Tomáš Souček, arrivato dallo Slavia Praga tra lo scetticismo generale – comprensibile, visto il poco esaltante percorso recente di acquisti del club – a gennaio di un anno fa e preso a titolo definitivo l’estate scorsa per 22 milioni. In un anno, e 38 partite di Premier League, Souček ha segnato 11 gol: molti su calcio piazzato ma altri anche inserendosi – del resto, dietro copre Rice – su azioni manovrate, con una influenza pesantissima sui risultati, sul gioco e anche sulle reazioni difensive degli avversari, preoccupati costantemente della sua presenza.

Sulle fasce, giocatori come Jarred Bowen, a destra, attaccante che ha la curiosa caratteristica di non aver quasi mai giocato una partita intera: in 24 partenze da titolare, solo cinque volte è stato in campo al fischio finale, per il dispendio di energie che dà con palla al piede e in pressing e la necessità di Moyes di dare spazio, ogni tanto, anche a Andryi Yarmolenko. Dall’altra parte, a sinistra, si sono alternati Saïd Benrahma, arrivo estivo dal Brentford, Pablo Fornals e da poco anche Jesse Lingard, tre gol in quattro partite dopo l’arrivo in prestito dal Manchester United, dove era praticamente sparito. Anche per lui vale il discorso del battere il ferro finché è caldo, finché le cose girano, perché non è certo che la crescita del West Ham delle ultime settimane prosegua con questi ritmi anche nel resto della stagione: il quarto posto è proporzionalmente poco superiore a quanto direbbero gol fatti e subiti (39 e 29, il Leicester City terzo, quattro punti sopra, ne ha 44 e 27), ma a numero di tiri effettuati gli Irons sono noni, aiutati molto dal primo posto di Antonio nei cosiddetti ‘expected goals’ (traduzione: segna anche quando la qualità del tiro non lo dovrebbe permettere), mentre è positivo il dato delle azioni avversarie interrotte da un tackle o un pallone recuperato (Rice e Souček sono la coppia numero uno del campionato), che contribuisce alla solidità difensiva.

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