Eberechi Eze, dalla gabbia a Hodgson

Il talento del Crystal Palace è nato in quelle strutture londinesi che hanno formato tanti protagonisti del calcio di oggi. Ed è un po' l'emblema di quanto della Premier League sfugga anche agli appassionati...

12 Febbraio 2021 di Roberto Gotta

Con Eberechi Eze, talento del Crystal Palace, parte su Indiscreto la nostra rubrica sull’attualità del calcio inglese, che avrà il venerdì come giorno di uscita. Non è che parleremo dell’ultimo risultato dell’ultima partita, ma comunque cercheremo di stare il più lontano possibile dalla nostalgia: anche se il meglio è già passato (in questo campo negli anni Settanta e nella prima metà degli Ottanta) seguiamo con passione ogni dettaglio della Premier League di oggi. In questo spazio commenteremo anche altri temi, oltre a quello del post, in base agli spunti offerti dai lettori. Fine dell’introduzione, sperando di poter tornare presto a seguire dal vivo le partite di quello che può non piacere ma rimane il calcio più interessante del mondo. Lo dice il mondo…

Scrivi Eberechi Eze e non è detto che il nome susciti grandi reazioni. È normale: in Premier League ha giocato solo 21 partite, segnando 3 gol, e oltretutto è nel Crystal Palace, una delle squadre meno attraenti del campionato, con soli 27 gol segnati in 23 gare e una differenza reti di -12. Sempre meglio dello scorso anno, quando solo il Norwich City, ultimo in classifica, aveva segnato meno, 26, rispetto alle 31 degli Eagles.

La squadra di Roy Hodgson, in cui però la parte tattica viene applicata dall’assistente Ray Lewington, 64 anni, il tecnico che sostituì Gianluca Vialli al Watford nel 2002 e che di Hodgson è stato vice anche in nazionale, ha un modulo pressoché fisso: 4-4-2, con qualche divagazione, nel passato recente, sul 4-3-3. Nel primo caso Winfried Zaha è la punta assieme in genere a Jordan Ayew, con Andros Townsend ala destra ed Eze sull’altro lato. Nel secondo caso Zaha agiva più spostato sulla sinistra, con Ayew in mezzo, Townsend sulla destra e dietro, ai due lati del capitano Luka Milivojević, James McArthur e Cheikhou Kouyaté. Formula però disattesa, come si diceva, a vantaggio della prima.

In questo contesto l’arrivo di Eze nel mercato estivo poteva creare modifiche dirompenti che però non sono ancora arrivate, ed è questo il dilemma della stagione, a nostro avviso: Eze, 22 anni, evidenti origini nigeriane, è infatti un trequartista più che un’ala e il ruolo è chiaramente specificato anche dal sito Transfermarkt, che con le statistiche e i dettagli non scherza. Nel Palace parte però sempre dalla fascia, accentrandosi per utilizzare il destro che è il piede con cui si esprime nettamente meglio. Quei tre gol (e i tre assist) della stagione in corso dicono però poco: uno dei tre è arrivato su punizione, altro fondamentale importante per lui, un altro dopo una corsa palla al piede contro uno Sheffield United incomprensibilmente morbido nella copertura, ma quello che è mancato è proprio un costante impiego di Eze nella sua posizione vera.

Non solo palla al piede: il 4-4-2 è davvero evidente nei ripiegamenti difensivi e quasi sempre prescinde dallo schieramento avversario. In più, la solidità e la corsa di Milivojević e McArthur sono fondamentali e nel disturbo all’impostazione avversaria non sono meno efficaci del fastidio che darebbe Eze se veleggiasse di fronte a loro. È anche per questo che il Palace preferisce dirottare il gioco avversario sulle fasce, dove la doppia copertura di ali e terzini dovrebbe teoricamente rendere più difficile subire gli uno contro uno che possono poi mettere in difficoltà, in mezzo, difensori centrali non troppo rapidi. Tra questi – a causa di infortuni altrui – c’è ora anche lo stesso Kouyate: chissà, forse proprio la sottrazione del senegalese al suo reparto naturale sta convincendo Hodgson e il suo staff a usare solo due centrocampisti, cui si aggiungono in rotazione spesso Jairo Riedewald e un po’ meno James McCarthy, e a proseguire con il 4-4-2.

Se però non è questo il motivo, e rifiutandoci ovviamente di credere che Hodgson e Lewington non abbiano ancora compreso come utilizzare Eze, fa abbastanza specie vedere che uno dei pochi trequartisti naturali del calcio moderno, o perlomeno del calcio inglese, sia ancora considerato una promessa o poco più. Nel weekend il Palace affronta il Burnley, squadra in cui il 4-4-2 è così rigido che i giocatori sembrano infilati sulle aste del calcibalilla, e difficilmente vedremo cose diverse dal solito. Anche se – paradossalmente – proprio contro una squadra così prevedibile nello schieramento la forza dirompente di un giocatore del genere potrebbe essere fondamentale.

Agli Eagles in generale servirebbe poter lanciare Eze come volto del nuovo corso: Zaha, dai e dai, ha ormai (!) 28 anni e da un paio di finestre di mercato vorrebbe andare a giocarsi le ultime stagioni di alto livello in una squadra da Champions League, dopo il fallimento (quattro partite giocate) del biennio 2013-15 al Manchester United, e il resto della squadra non fornisce elementi affidabili sul lungo periodo, come è forse naturale per un club che galleggia senza mai eccellere, e che un paio di volte, in tempi recenti, aveva iniziato la stagione in maniera disastrosa.

Un club bizzarro, anche contraddittorio: da un lato, globalizzato negli slogan e nei concetti (basta guardare gli striscioni che coprono i seggiolini); dall’altro, consapevole, al di là del conformismo delle suddette scelte, che la sopravvivenza reale può arrivare solo dall’accentuazione del territorio e delle sue espressioni. E non per nulla uno degli striscioni, forse il più sincero, recita ‘South London and proud’: siamo di Londra sud, e ne siamo orgogliosi. A prescindere dal fatto che il club tollera poi l’esistenza di ultras che di locale, non solo londinese meridionale ma britannico, non hanno nulla, se non altro l’arrivo di Eze rappresenta un passo importante verso la trasformazione dello slogan in realtà.

Il ragazzo è infatti nato a sud del Tamigi, anche se molto più su della zona di influenza del Palace: a Greenwich, in una delle tantissime zone di degrado in cui la Londra ufficiale spera che i turisti non mettano mai piede, altrimenti altro che ‘è la mia città preferita’ profferito da chi pensa che Londra sia Oxford Street e Harrods, il grattacielo Shard e la Torre. Per evitare compagnie che potevano portarli al gabbio, i bravi ragazzi come Eberechi si rifugiavano nella gabbia: quei campetti di cemento, recitati da reticolati, che come gran parte delle brutture del mondo occidentale vengono dall’America e che però salvano vite e carriere.

In posti del genere, in una larga fascia di quartieri a sud del Tamigi, si sono formati negli ultimi anni talenti come Jadon Sancho, Ademola Lookman, Reiss Nelson, i due Sessegnon, Patrick Roberts, Joe Gomez, Aaron Wan-Bissaka, Conor Gallagher, Rhian Brewster, Tammy Abraham, Emile Smith-Rowe, Eddie Nketiah, Callum Hudson-Odoi, Ruben Loftus-Cheek. Uno diverso dall’altro, ovviamente, anche se una ricerca dell’Università di Foggia (!) citata in un testo inglese avrebbe certificato che chi gioca in una di queste gabbie raggiunge mediamente un’efficacia di rendimento cardiaco dell’88%, quindi sviluppa corsa e resistenza superiori alla media.

Eze aveva però iniziato a giocare a nord del fiume, nell’Arsenal, dagli otto ai 13 anni, senza essere trattenuto perché, pare, il suo rendimento era troppo fluttuante e incostante. Stesso destino al Fulham, poi al Reading, prima di una firma col Millwall, nel 2014 (a 16 anni, dunque), con una borsa di studio biennale mai sfociata in un contratto da professionista. Ancora: la sua corsa leggera, il suo utilizzo parsimonioso delle energie erano viste come insufficienti per l’agonismo richiesto in Championship, e dunque non affidabili. Saltato l’approdo a Sunderland, Bristol City e Swansea, per gli stessi motivi, arrivò il Queens Park Rangers, infine: grazie al responsabile dell’area tecnica Chris Ramsey, 58 anni, che alcuni di voi ricorderanno in campo col Brighton, come terzino destro, nella finale di FA Cup del 1983 pareggiata 2-2 contro il Manchester United, prima dello 0-4 nella ripetizione che Ramsey saltò per infortunio.

La firma nell’agosto del 2016, la prima presenza il 7 gennaio 2017 in Coppa d’Inghilterra, con uscita però dopo soli 18’ per infortunio, poi il prestito, decisivo, al Wycombe Wanderers, in quarta serie: dall’agosto del 2017 al gennaio del 2018, e in un calcio più ruvido, più rapido, più frenetico, Eze ebbe mentori importanti che lo aiutarono ad aggiungere concretezza e togliere eccessivi fronzoli, e in quei sei mesi il ragazzo contribuì in modo importante a quella che si rivelò poi l’annata della promozione del club. Il ritorno al QPR fu definitivo nella finestra invernale del 2018, e l’utilizzo crescente sotto la gestione di Ian Holloway divenne ancora più solido sotto il suo successore Steve McClaren, l’ex allenatore della nazionale. Che nell’estate del 2019 diede a Eze la maglia numero 10: come stimolo e premio. Perché al QPR la 10 vuol dire ancora Stan Bowles, a 40 anni dall’ultima partita in biancoblu del fantasista: per Eze, come per molti contemporanei, purtroppo il nome del povero Bowles, da qualche tempo colpito dal morbo di Alzheimer, dice poco o nulla, mentre molto più vicino era l’esempio di Adel Taarabt che – lo si creda o meno – nelle sue 157 partite con il QPR è riuscito a lasciare una traccia presa poi da Eze, che peraltro lo aveva visto solo da spettatore.

I 14 gol e otto assist in tutte e 46 le partite di campionato giocate dal Queens Park Rangers nel 2019-20 sono state il passo decisivo verso il trasferimento: interesse iniziale anche di altri club di Premier League, una prima offerta del Palace rifiutata, una seconda accettata, per circa 18 milioni di euro. Il talento c’è, presto potrebbe arrivare anche la scelta della nazionale senior in cui giocare (finora, solo Inghilterra a livello di Under 20 e Under 21) e l’affermazione. Presto, si spera, perché per assurdo i suoi 22 anni e otto mesi sembrano già tanti in assoluto, anche se riflettono una carriera partita tardi.

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