Tennis

La morte di Gianni Clerici

Stefano Olivari 06/06/2022

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Gianni Clerici è morto a quasi 92 anni dopo una splendida vita, fatta eccezione per l’ultimissimo periodo, e avendone scritto tante volte non abbiamo coccodrilli strappalacrime da proporre su questo gigante del giornalismo e della vituperata letteratura sportiva, che per noi è stato soprattutto un compagno di mille pomeriggi giovanili passati a guardare il tennis raccontato da lui da da Rino Tommasi sulle reti Fininvest, quando si rivolgevano a classi sociali desiderose di smarcarsi dalla tamarraggine, e poi da Telepiù in avanti.

Non c’è nemmeno bisogno di un libro su Gianni Clerici, per la semplice ragione che lo ha già scritto lui stesso: Quello del tennis – Storia della mia vita e di uomini più noti di me, da noi recensito 7 anni fa, è il suo testamento ma certo non la sua unica grande opera. L’elenco sarebbe sterminato e citiamo quindi soltanto i libri di Clerici che hanno fatto epoca: Il tennis facile nel 1972, 500 anni di Tennis nel 1974 ma più volte ristampato (quale appassionato non ne possiede l’edizione gigante? Un oggetto che può uccidere), Il grande tennis nel 1978, I gesti bianchi del 1995 e Wimbledon del 2013.

Il miglior Clerici è per noi suoi fedeli lettori-telespettatori quello de I gesti bianchi (Alassio 1939 – Costa Azzurra 1950 – Londra 1960), rarissimo caso di un giornalista italiano che scrive un grande romanzo, anche se il Clerici che rimpiangeremo per sempre sarà quello delle telecronache politicamente scorrette da seconda voce, possibili soltanto ad una persona che che lavora per hobby (e che ha un cervello). Ma il discorso del romanzo va oltre, perché Clerici non ha mai nascosto di sentirsi limitato dal giornalismo sportivo, un po’ come il Brera che lo lanciò nel Giorno degli anni Cinquanta.

Clerici è stato capace come pochi di raccontare il tennis dei superprofessionisti, il tennis Open nato nel 1968, con lo stile del tennis d’altri tempi, quello classista che è rimasto nell’immaginario pur essendo in concreto diventato quasi un altro sport. Clerici non ha mai difeso una presunta purezza dei tempi andati, anzi ha sempre attaccato le ipocrisie del dilettantismo, e si è sempre ben calato nel presente raccontando e commentando partite e dichiarazioni di gente che conosceva di persona.

Ma noi peones delle scuole FIT adoravamo, senza alcuna invidia sociale, i racconti di quel tennis per ricchi (e la famiglia Clerici lo era, anzi di più), quell’atmosfera un po’ da Finzi Contini (Giorgio Bassani un suo grande amico, non a caso), quell’affettato disinteresse non soltanto per il denaro ma anche per la volgarità del risultato. Ci mancava già tantissimo da anni, adesso non possiamo fare altro che salutarlo senza nostalgia, perché anche oggi ci sono giornalisti e opinionisti validi, ma con amore e ammirazione. In punto di morte non penseremo che il tempo passato con Gianni Clerici sia stato tempo buttato.

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