La morte di Dražen Petrović

7 Giugno 2023 di Stefano Olivari

Trent’anni fa, il 7 giugno 1993, moriva Dražen Petrović, a nemmeno 29 anni di età, facendo piangere una generazione di appassionati di pallacanestro cresciuta insieme a lui. Anche tanti italiani, che ancora oggi potrebbero citare a memoria alcune frasi delle telecronache di Sergio Tavcar su Telecapodistria. Inutile ricordare la sua importanza storica, come primo europeo a sfondare nella NBA ed anche come unico europeo mitizzato fuori dal proprio paese a prescindere dalla NBA. In questo giorno maledetto riproponiamo una parte del capitolo finale del nostro ‘Gli anni di Dražen Petrović’. 

Sottoposto a mille pressioni, Petrović cerca di non pensare al futuro almeno per qualche giorno. A Wroclaw si disputa il torneo di qualificazione agli Europei che si svolgeranno in Germania e la testa di tutti dovrebbe essere alla qualificazione. Ma avendo Vranković come compagno di camera le proposte del Pana continuano ad arrivare anche in Polonia: Dražen non vuole illudere l’amico e continua a parlare di NBA, anche se non di Nets. Finalmente si gioca. Nel girone iniziale tre vittorie contro Romania, Estonia e Macedonia, passeggiando sempre tranne che con i baltici. Si gioca a ritmi serratissimi e nel gruppo che porta alle finali sono quasi allenamenti le partite con Lettonia, Bielorussia e Ucraina. Il 6 giugno c’è da giocare una finale inutile, visto che all’Europeo andranno le prime cinque classificate, contro la Slovenia. Petrović cerca solo di evitare guai al ginocchio, sparacchiando da fuori ma chiudendo comunque con 30 punti, i compagni hanno poca voglia e si chiude perdendo di quattro. C’è stanchezza e nervosismo, al punto che Radja si lamenta con Dražen dei pochi palloni che gli sono arrivati. La sconfitta non fa comunque male e Dražen a fine partita si intrattiene scherzoso con l’allenatore della Slovenia Drvarić, l’ennesimo ricordo ciboniano.

Contrariamente al Dražen di qualche anno prima, questo del 1993 vuole ritagliarsi spazi fuori dal basket. Uno di questi è Klara Szalanty, modella di origine ungherese ma anche giocatrice di basket in Germania. Non che si vedano spesso, ovviamente. Si sono conosciuti pochi mesi prima, per iniziativa della ventitreenne Klara. Lei e una sua amica sono riuscite a conoscere Dražen tramite Miocić, l’amico croato-newyorkese del campione. E dopo un’uscita comune l’amica e Miocić sono usciti di scena. Per la verità moltissimi fan riescono a parlare con Dražen, non essendoci all’epoca grandi filtri nemmeno per una stella come lui: lui li tratta con educazione, però mantenendo le distanze. Con Klara si va oltre, nei pochi giorni in cui lei rimane a New York prima di tornare in Germania, ma non è chiaro quanto oltre e i diretti interessati non possono chiarirlo. Klara non ha mai voluto parlare dell’argomento, Dražen non può più parlarne, mentre quasi nessuno li ha mai visti insieme. Fidanzati? Semplici amici? La certezza è che dopo quei giorni a New York Klara torna in Germania e inizia a sentirsi al telefono con Dražen, che le dà appuntamento per l’estate. Non sembra amore travolgente, ma piuttosto un’amicizia che potrebbe diventare altro. Tanto è vero che i giorni fra l’eliminazione dai playoff NBA e l’inizio del ritiro con la nazionale Dražen preferisce passarli con i genitori a Zagabria, invece che con Klara.

L’occasione per rivedersi capita proprio dopo Wroclaw. Il campione parla del suo progetto soltanto con Vranković, Novosel e Aco. Il 7 giugno, un lunedì, l’aereo fa scalo a Francoforte e all’improvviso Dražen saluta i compagni di nazionale, che di lì a un’ora torneranno a Zagabria. Assicura a Novosel che mercoledì sarà in Croazia per la ripresa degli allenamenti, saluta un perplesso Aco e raggiunge in aeroporto Klara che è venuta a prenderlo, accompagnata da un’amica. L’idea è quella di stare a Monaco, a casa di Klara, un giorno e mezzo e poi raggiungere la nazionale a Zagabria: fra viaggi e perdite di tempo un’idea insensata, assolutamente non da Dražen. Eppure è proprio lui che decide così.

Klara si mette alla guida della Golf rossa. L’ultima delle Golf che hanno segnato la vita del campione dopo quella di Đurović e delle prime lezioni di guida, quella del padre e della firma con il Cibona e quella di Aco rubata durante l’Universiade. Dražen è distrutto dalla fatica e si siede al suo fianco, senza allacciarsi la cintura di sicurezza. Sul sedile posteriore Hilal Edebal, l’amica di Klara, anche lei giocatrice: a ventitre anni è nella nazionale turca, dopo essere stata nel Galatasaray e a Niagara University. Sta passando qualche giorno con Klara a Monaco e lei le ha chiesto di farle compagnia nel viaggio verso Francoforte. Sull’Autobahn 9 a Denkendorf, vicino a Ingolstadt, piove a dirotto. Ma Dražen non se ne accorge: si è addormentato, dopo avere scambiato qualche battuta con le ragazze. La velocità è alta, troppo. La visibilità scarsa. Dopo un dosso la Golf si trova davanti all’improvviso un camion fermo. In molti nei minuti precedenti sono riusciti ad evitarlo, qualcuno per puro miracolo, ma Klara no. Frena in maniera troppo forte, l’auto sbanda e finisce sotto il camion. Dražen viene sbalzato fuori dal finestrino e muore sul colpo. Nell’impatto il suo orologio si ferma sull’ora esatta dell’addio: le diciassette e venti.

Intanto la nazionale è arrivata a Zagabria e Vranković ritira la valigia dell’amico, come da accordi, consegnandola a Biserka. Che torna a casa per aspettare la solita telefonata del figlio, del genere ‘Sono arrivato, tutto bene’. Ma la telefonata che arriva è della polizia tedesca. Biserka vorrebbe morire anche lei, cerca di farsi del male ma Jole la trattiene. Disperati, chiamano subito Aco. Sono minuti assurdi, pieni di parole e fatti privati. Fra quelli pubblici c’è la telefonata di Jole a Vranković, in cui gli chiede di passargli Dražen. Risposta di Vranković: “Dražen  è andato a Monaco, non lo sa?”. Il gelo, poi Jole accetta la realtà: “Stojko, Dražen è morto”. A mezzanotte anche Novosel viene informato della morte del suo gioiello, non riesce dire una parola. Spahija apprende la notizia del gestore del caffè Amadeus, LeGarie da Fleisher che lo ha appena saputo da Radja. Goyak avvisa Reed, in pochi minuti mezzo mondo del basket si rende conto di chi ha perso. Qualche ora più tardi Anderson sta cenando in un ristorante, quando un cameriere portandogli un piatto lo informa che è morto Dražen Petrović, lo ha appena detto ESPN. È difficile dare l’idea dello smarrimento della Croazia in queste ore, nessuno è immortale ma Dražen lo sembrava.

Klara nonostante lo schianto riporta soltanto ferite superficiali, per quanto riguarda il fisico. Dopo una settimana è già fuori dall’ospedale, mentre molto peggio va a Hilal: per lei due mesi di coma e danni cerebrali permanenti, una carriera da cestista rovinata e una vita che non potrà essere normale. Con una comprensibile rabbia nei confronti dell’ex amica. Klara tornerà a sfilare e a giocare, non vorrà parlare mai della vicenda e non incontrerà i genitori di Dražen o Aco nemmeno per piangere insieme, non diciamo per scusarsi. La sua famiglia la proteggerà dai media, quella di Dražen rimarrà colpita dalla mancanza anche soltanto di una parola, mentre qualche tifoso croato la minaccia di morte. Non farà vita ritirata, perché apparirà in pubblico tantissime volte e nel 2001 si sposerà con Oliver Bierhoff. Nessuno afferma che Klara abbia ammazzato Dražen: è stato un incidente, ma di quelli evitabili.

Venerdì 11 giugno 1993 alle cinque del pomeriggio Zagabria, la Croazia, la Jugoslavia, il mondo, piangono Dražen. Il vescovo Marko Culej, nella cappella del cimitero Mirogoj, parla come parlerebbe un tifoso: “Dražen avrebbe giocato tante altre partite e fatto migliaia di altri tiri, giocato in molti posti e ci avrebbe riempito dell’orgoglio che fosse figlio di questa nazione”. Il presidente croato Tuđman e tutto un paese seguono la bara portata, fra gli altri, anche da un Vranković sconvolto: quando il coro della chiesa intona l’Ave Maria scoppia a piangere e perde il controllo, Radja lo sostiene. Biserka cerca di non rendere pubblico il suo dolore, ma non può. Ci sono Reed, Morris e anche Chris Dudley, che al New York Times lascia la sua impressione sulla giornata: “Dražen era un campione, però io non lo ricordo per le sue giocate sul campo. Lo ricordo come uomo, per il suo impegno e la sua perseveranza. Immaginavo quanto fosse conosciuto e rispettato anche in Europa, ma quello che ho visto oggi è difficile da credere. Qui Dražen è Dio”. Novosel dice ciò che tutti pensano: “Non esisterà mai più uno come Dražen”.

Il funerale di Dražen Petrović, in una Zagabria in piena guerra, ha un seguito popolare e mediatico paragonabile a quello delle grandi icone pop: Grace Kelly, Lady Diana, Michael Jackson. Rapportando tutto alla realtà croata e ormai ex jugoslava, siamo in questa zona. Viene sepolto al Mirogoj, uno dei tanti posti di Zagabria meritevoli di una visita. Lì ci sono molti croati famosi, non necessariamente legati alla città: anche la tomba di Ćosić, morto per un linfoma due anni dopo Dražen. Un fiore portato al Mirogoj sulla tomba di Dražen, grande ma molto semplice, diventerà un rito per chi come religione ha la pallacanestro.

Meno di un mese dopo, il 3 luglio, l’Europeo in tono minore (senza la Jugoslavia di Divac, la Lituania di Sabonis e l’Ucraina di Volkov) è quasi finito e la nazionale croata si reca sul luogo della tragedia. Il guardrail è già stato rifatto, tutto è perfetto, siamo pur sempre in Germania. La Croazia senza Kukoč, in procinto di andare ai Bulls dopo due anni a Treviso, è appena stata battuta in semifinale dalla Russia e in serata incontrerà la Grecia nella finale per il bronzo. Il giorno dopo la Germania di Pešić perfezionerà la sua notevole impresa casalinga, con una squadra priva di campioni. Nel torneo la nazionale croata ha onorato la memoria di Dražen nonostante la pessima preparazione, interrotta con la morte del campione e ripresa in un’atmosfera da lutto, perdendo contro L’Italia a Montpellier la finale dei Giochi del Mediterraneo. Proprio guardando la partita con l’Italia Aco, che aveva lasciato il ruolo di assistente nella Croazia, ha cambiato idea. Ha visto i giocatori a terra psicologicamente, quindi ha voluto aiutare loro ma anche se stesso ad andare avanti. Ha chiamato Novosel, è tornato. Perasović e Cvjetićanin hanno giocato con un fantasma accanto, adesso sono loro i leader della squadra insieme a Radja. Quel sabato mattina il bus della nazionale, scortato dalla polizia tedesca, si ferma sul luogo dell’incidente. Lo si riconosce giusto per i fiori. Nakić confessa ai giornalisti quello che nessuno osa dire: “Il destino è crudele e assurdo. Dražen ha dedicato tutta la sua esistenza alla pallacanestro e appena si è preso una pausa per la sua vita privata è morto”. In molti piangono. Poche ore dopo batteranno la Grecia con quaranta punti di scarto.

Estratto di Gli anni di Dražen Petrović – Pallacanestro e vita, pubblicato da Indiscreto nel 2015

 

 

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