Ciclismo

Il Giro umano di Contador

Simone Basso 03/06/2015

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Repetita iuvant, la mania dell’orologio e il calcolo dei wattaggi hanno qualcosa in comune con l’astrologia. L’era del Passaporto Biologico però si evidenzia controllando i tratti all’insù: Contador, a palla per cinque o seimila metri sulla salita più dura d’Europa, sigilla la competizione rimontando il trenino Astana sul Mortirolo. Impressiona en danseuse, col suo stile peculiare, mai quanto i raffronti col passato: i 3’38” di distacco dal fatidico 1999 (Gotti, Heras e Simoni) sono una mostruosità. Nel 1994 (ventuno anni fa) il madrileno avrebbe beccato cinquantatre secondi da Berzin in crisi, trafitto dagli attacchi di Pantani. Sono migliorate, meccanica e telaio, le bici; ci si allena – qualitativamente – con l’srm, l’alimentazione è stata modificata.  A ogni pendenza, oggi, il gruppo si frantuma da dietro, piano piano. Le fughe vanno: il plotone (quasi) compatto ha perso qualche chilometro di media nelle punte di velocità più estreme. Queste differenze dovrebbero essere sottolineate dal quarto e quinto potere; prodighi piuttosto di amarcord nostalgici verso il periodo più imbarazzante nella storia dello sport. Abbiamo un sospetto: scevri di una cultura specifica, privi di qualsiasi tipo di nozione che vada oltre il luogo comune, non saprebbero affrontare questi temi. Lo confermano le stupidate dette e scritte sulle cronometro (l’esercizio che avrebbe penalizzato l’emergentissimo Fabio Aru): disconoscere le prove contro il tempo, uno dei gesti più nobili della disciplina, puzza di pressapochismo tecnico e storico.

A proposito, bel pubblico di indiani sulla cresta del Colle delle Finestre, con l’eccezione di un (sedicente) gruppo organizzato. I miasmi della setta di Pantanology, oltre il tentativo di piazzare libri scabrosi quanto scadenti, si materializzano nelle fattezze di ultrà del postumo. Che, ubriachi e cafoni, imbrattano con lo spray le vetture al seguito e rincorrono, maldestri, gli atleti. Non sappiamo cosa abbia fatto il povero Pirata per essere ricordato così; di sicuro vorremmo il movimento tricolore un po’ più sul pezzo, sull’attualità. Nel bene, da Nibali fino al più improbabile dei gagni che corrono nei Giovanissimi, e nel male, partendo da una Federazione nazionale latente e una RCS poco convinta e convincente. Altrimenti aveva ragione il personaggio di un film di Bellocchio: “In Italia, i morti hanno sempre ragione.”

La frase del mese. “Ma se la Milano-Sanremo sono circa 300 chilometri, perchè da Sanremo a Milano ci stiamo mettendo 3486 chilometri?” (Dario Cataldo)

Simone Basso, per gentile concessione dell’autore (pubblicato martedì 2 giugno 2015 su Il Giornale del Popolo)

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