La grande scommessa, mutui subprime e diversificazione

2 Marzo 2016 di Stefano Olivari

La gente è psicologicamente poco propensa ad accettare che si possa guadagnare molto anche in periodi di crisi finanziaria, non per gli strumenti usati da chi indovina (o manovra) una tendenza ma perché i cali, i crolli, le bolle hanno sempre in sé qualcosa di destabilizzante. È questo il cuore di La grande scommessa, più tecnico con il titolo originale (The Big Short), il film diretto da Adam McKay che ha schierato un supercast:  Christian Bale nei panni di Michael Burry (gestore di un hedge fund, capace di andare contro il senso comune chiedendo alle banche la creazione di credit default swap sui mutui subprime), Ryan Gosling in quelli di Jared Vennett (funzionario di Deutsche Bank che è fra i primi a capire la portata dell’intuizione di Burry), Steve Carell in quelli di Mark Baum (tormentato trader di Morgan Stanley), Brad Pitt in quelli di Ben Rickert, trader indipendente e ormai ritiratosi nella sua fattoria, un Brad Pitt per scelta delle parti ormai sempre più Robert Redford 2.0.

Ma i personaggi sono tantissimi e tutti hanno un ruolo nello spiegare allo spettatore che ha dimenticato o rimosso i fatti del 2008 che cosa sia esattamente successo. In estrema sintesi semplificatoria, da web: mutui immobiliari concessi anche a gente con pochissime probabilità di onorarli, che verso la metà degli anni zero avevano raggiunto quasi il 20% del mercato finanziario ed un valore imprecisabile ma senz’altro superiore ai 500 miliardi di dollari. A loro volta questi mutui ad altissimo rischio di insolvenza venivano dalle banche cialtrone inseriti all’interno di prodotti finanziari più complessi, come i CDO, che con la connivenza delle agenzie di rating (parte trattata molto bene) si guadagnavano tre A sulla fiducia e venivano piazzati a fondi o singoli investitori.

Il castello non poteva stare in piedi a lungo, perché alla prima ondata di crisi del debito sottostante (traduzione: i privati non più in grado di pagare le rate del mutuo, osservati con una istruttiva indagine sul campo) sarebbero crollati i piani superiori. E i primi a capirlo, usando varie leve per scommettere sul crollo (fra queste appunto i CDS, null’altro che un’assicurazione o una copertura: in pratica Tizio paga alla banca Caia un premio che lo ‘garantisca’ contro il crollo di un titolo Sempronio o del prezzo di un bene), sono anche quelli che possono trarre i profitti più alti dalla situazione.

Il film, basato su un libro di Michael Lewis (autore di The Blind Side: a detta di chi lo ha letto, non nostra, uno dei più bei libri recenti sul football… in pratica la storia di Michael Oher, attuale offensive tackle dei Carolina Panthers) non si dilunga in tecnicismi e ha davvero molto ritmo, senza la retorica del film di denuncia contro le banche cattive e tutto il mondo connivente (giornali, agenzie di rating, politici, investitori che hanno accesso a strumenti più sofisticati, bene informati vari). Proprio per questo, perché è martellante sul meccanismo, è un grandissimo film di denuncia: tutto quanto accaduto lo scorso decennio può tornare senza problemi visto che nessuno ha pagato per i fallimenti a catena e i milioni di disoccupati. Lehman Brothers e AIG alla fine sono saltate, ma senza le cannonate con soldi pubblici del governo americano sarebbe saltato davvero tutto il sistema finanziario. Il messaggio è molto forte: se siete una persona di media intelligenza e cultura e nemmeno applicandovi molto riuscite a capire la composizione del prodotto che il vostro consulente finanziario vi propone, è quasi certo che vi stia proponendo della spazzatura. Mascherata da ‘diversificazione del rischio’.

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