L’Inghilterra dei posti in piedi

Manchester City, Manchester United, Tottenham, West Ham e Wolverhampton infatti hanno già annunciato il progetto di modifica parziale dei propri stadi per accogliere i cosiddetti ‘rail seats’...

27 Marzo 2021 di Roberto Gotta

Emersa ieri mattina sui quotidiani inglesi, cartacei e online, e dunque dilagata (forse) nelle ore successive in tutto il mondo, è importante la notizia del possibile ritorno, nelle prime due serie calcistiche inglesi, a settori in cui i tifosi possano stare in piedi. In piedi legalmente, s’intende, visto che in alcuni posti ciò avviene a prescindere dai regolamenti. Manchester City, Manchester United, Tottenham, West Ham e Wolverhampton infatti hanno già annunciato il progetto di modifica parziale dei propri stadi per accogliere i cosiddetti ‘rail seats’, cioé file di seggiolini innestati su strutture metalliche, tipo ringhiere: quando il tifoso si alza può appoggiarsi con la schiena alla ringhiera alle sue spalle o con il petto a quella davanti a lui, ma la spiegazione è complessa e fate prima a cercare sul web.

Il movimento è permesso solo lateralmente, perché queste ringhiere coprono in larghezza l’intero settore, dunque sono solo in parte paragonabili alle vecchie ‘crush barriers’, le barriere sparse qua e là sulle gradinate, il cui scopo era quello di limitare l’eccessivo spostamento verticale dei tifosi, che poteva dare vita a pericolosissimi assembramenti (quelli veri, non quelli menzionati in questi mesi dai tg). Per questo si parla di ‘safe standing’, cioè dello stare in piedi in condizioni di sicurezza, anche se l’aggettivo è frutto di una curiosa coincidenza e pure di controversia: i sostenitori del cambiamento fanno infatti notare che aggiungere ‘safe’ implica che lo stare in piedi di per sé sia pericoloso, e inoltre ‘safe’ in origine era semplicemente… SAFE, acronimo di Standing Areas For Eastlands, nome originario dello stadio del Manchester City, i cui tifosi – ma non sono parvenu o ‘finti’ per definizione cialtrona di chi non studia la storia? – nel 2009 avevano avviato con più forza di tutti la campagna.

Giovedì sera la questione è stata affrontata anche in Parlamento, dove da tempo ci sono spinte per un parziale ritorno al passato. Parziale, per motivi ovvi: la fortuna economica del calcio inglese viene dalla Premier League, e la Premier League viene dalla tragedia di Hillsborough dell’aprile 1989 che portò, con le conclusioni dell’inchiesta condotta dal magistrato Peter Taylor, a una riforma radicale dell’esperienza calcistica, a partire dagli stadi. Si ribaltò presto il rapporto di 2/3 tra posti in piedi e posti a sedere, e il Football Spectators Act del 1989, un decreto governativo introdotto pochi mesi dopo la tragedia e la prima stesura del rapporto Taylor, spinse proprio verso l’adattamento degli stadi, che presto persero tutti gli spalti a favore di file di posti a sedere.

Anche se ci fu uno stralcio della legge per non costringere all’immediata modifica i club di terza e quarta serie, meno dotati di mezzi. Mezzi che peraltro arrivarono in fortissima parte dal governo (altro che ‘ristori’): con stadi in prospettiva più accoglienti, il progetto di alcune squadre di innalzare il livello intero della prima divisione, esistente già da qualche anno, trovò il modo di esprimersi e crescere fino a sfociare nella Premier League. Perché al mondo – obiettivo finale di conquista – non si potevano mostrare stadi transennati, settori con gente accalcata, Polizia a cavallo a bordo campo e spettatori con birre in mano.

Nel frattempo, infatti, lo Spectators’ Act aveva anche introdotto il divieto di consumo di alcool in qualsiasi zona dello stadio dalla quale fosse possibile vedere il campo, comprese zone riservate (i salottini, ad esempio, all’epoca peraltro rarissimi), e anche questo andava nella direzione di un prodotto – non più uno sport – sempre più vendibile. In un periodo, va ricordato, in cui seguire il calcio in Inghilterra voleva dire essere fuori moda, essere guardati con diffidenza, quasi spinti fuori dal consesso civile. Il cambiamento degli stadi portò dunque al cambiamento dei tifosi, e non viceversa. Prezzi più alti, posti a sedere quindi maggiore comodità schivando la congregazione che sulle gradinate di un tempo dava anima e cuore ma era potenzialmente pericolosa per il movimento costante della folla, in alcuni casi quasi da mal di mare per chi l’osservava e aveva l’impressione di un unico organismo, agitato e con migliaia di teste.

In più, nel periodo in cui la First Division diventava Premier League, usciva Fever Pitch (Febbre a 90’) di Nick Hornby, che secondo alcuni fu fondamentale nel far accettare all’opinione pubblica l’idea che il tifoso di calcio potesse anche essere una persona colta e sensibile, non necessariamente un buzzurro con la pancia da birra e il bulldog tatuato sull’avambraccio, e che la sensibilità con cui si reagiva allo sviluppo di una stagione potesse avere un suo lato poetico, non solo fanatico. Idealmente – e ben oltre le intenzioni dell’autore – il tifoso dell’Arsenal del libro rappresentava tutti quelli che dovevano costituire la maggioranza del pubblico della nuova era, dei posti a sedere, dello sfottò senza violenza o magari – finché non sono comparsi gli steward a controllare pure quella, spesso senza riuscirci – della violenza ma solo verbale. Non per nulla, Fever Pitch non è amatissimo dai tifosi tradizionali ma piace molto a quelli che per motivi simili, ma opposti, amano anche il film Hooligans: descrive un mondo accettabile, di tifosi amabili seppur bizzarri, in cui identificarsi, così come quell’altro rappresenta la sublimazione del lato oscuro, affascinante a livello letterario e cinematografico perché pugni, calci e cinghiate li prendono altri.

In quel panorama i posti in piedi non avevano più senso, costituivano un elemento di disordine potenziale e psicologico, e la loro eliminazione volle anche dire la maggior difficoltà di aggregazione di tifosi che, prima, per riunirsi non dovevano fare altro che pagare l’obolo ed entrare. Così era stato il calcio inglese fino a quegli anni: salvo eccezioni, cioé le partite all-ticket in cui si entrava solo con il biglietto, in tutte le altre per accedere ai settori dietro le porte versavi al tornello l’obolo richiesto ed entravi, fino al limite della capienza se non oltre. Facile costituire gruppi, facile ritrovarsi tra amici, facile creare atmosfera. Tutto quello che si è reso difficile in seguito, a meno di non riuscire a sedere tutti vicini.

Ed è anche per questo che quelle situazioni impossibili da vivere in casa si sono invece spesso create in trasferta, contribuendo a formare il falso mito secondo cui i tifosi ospiti sono più rumorosi di quelli di casa: in settori di ampiezza limitata , infatti, e con steward che spesso si limitano a controllare che ognuno stia al suo posto senza potergli ordinare di stare seduto, è più facile ricreare quel senso di comunità perso nelle partite in casa. Non è questione di intensità del tifo ma di concentrazione del punto da cui proviene: all’Etihad Stadium, a Selhurst Park (si sentono ma in tv non si vedono, perché situati nella bellissima Arthur Waite Stand su cui è posizionata la telecamera principale), ad Anfield, all’Emirates Stadium è facilissimo vedere i tifosi ospiti in piedi.

Ecco perché il passaggio ai settori con posti in piedi, con quei seggiolini che possono essere immobilizzati in posizione verticale nelle partite di campionato – le regole UEFA sono differenti, anche in Germania si procede così – può costituire davvero un passo diverso. Appoggiate anche da diversi politici (faziosi, o scaltri), le associazioni di tifosi li chiedono da anni, sottolineando come nei paesi in cui sono stati adottati non si sia verificato alcun problema inedito di ordine pubblico.

Il passaggio – già avvenuto in Scozia al Celtic, non coperta dalle attuali norme relative solo a Inghilterra e Galles – vorrebbe dire, per i club nominati all’inizio, un doppio traguardo: riaprire gli stadi al cento per cento della capienza, quando sarà possibile, e farlo con l’attrattiva ulteriore di un settore nel quale ricreare certe atmosfere del passato. Sempre che il tifo più movimentato riesca a vivacizzare situazioni che sono sempre meno ‘inglesi’, usando un aggettivo grossolano: anche se quando vai allo stadio parecchi dettagli ti fanno ancora percepire di essere in Inghilterra e non altrove, il processo di globalizzazione cialtrona (come se ne esistesse una non cialtrona…) e di americanizzazione, la musica altissima dopo il gol e lo speaker che si sgola per dire il nome del marcatore, sono processi irreversibili, e non solo in Premier League.

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