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Il record di Geo Balmelli

Stefano Olivari 19/10/2013

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Milano-Varese è la superclassica della pallacanestro italiana e in Ticino è forse più ‘sentita’ delle partite di Tigers o SAM. Domenica sera al Forum di Assago non si affronteranno le corazzate di un passato fin troppo ingombrante ma due squadre da lavori in corso, con differenti ambizioni. La EA7 Emporio Armani, alla sesta stagione sotto la proprietà del più famoso stilista del mondo (la decima considerando solo la sponsorizzazione), per arrivare ad uno scudetto-Graal che manca dal 1996 ha pescato ancora una volta dalla Siena che da 7 anni domina in Italia: questa volta è partita dall’allenatore, Luca Banchi, per poi ingaggiare un giocatore decisivo come Moss e un buon gregario come Kangur. La Cimberio Varese è una buona rappresentazione del triste momento dell’economia italiana, che non porta più alla pallacanestro gli sponsor e i finanziamenti a fondo perduto anche solo di qualche anno fa: dopo una stagione straordinaria, con finale scudetto sfiorata ed un pubblico fedelissimo, via l’allenatore Vitucci (Avellino gli ha offerto di più), sostituito da Fabrizio Frates, più la bellezza di 6 giocatori fra i quali la rivelazione Dunston, per ricostruire quasi da zero con un budget più basso. Magari non in serie A, ma nelle categorie immediatamente inferiori fra qualche anno si rischia di giocare quasi solo per passione.

Come ai tempi di Geo Balmelli, mito della pallacanestro luganese che non è un’offesa definire vecchia gloria. Perché gli anni sono 86, sia pure portati con classe (adesso lo sport praticato è il golf), ma anche perché Balmelli è stato l’unico svizzero a giocare nella serie A italiana dalla sua nascita fino alla sentenza Bosman che a partire dalla stagione 1996-97 ha sortito i suoi effetti nefasti su tutti gli sport di squadra europei. 806 giocatori stranieri, secondo la monumentale opera (‘Arrivano gli americani’) di Giorgio Specchia, in decenni nei quali lo straniero veniva preso non perché costasse meno di un italiano (come a volte avviene oggi) ma perché spesso faceva la differenza. Ecco, fra questi 806 stranieri, ovviamente quasi tutti americani, solo uno svizzero. A Varese, campionato 1953-54, chiamato nientemeno che da Vittorio Tracuzzi, ai tempi allenatore sia di Varese che della Nazionale italiana. Balmelli ha ricordato per Il Giornale del Popolo quella splendida avventura, il cui ricordo è rimasto vivissimo nel corso dei decenni: “All’epoca giocavo nella SAL che si esibiva sul campo di piazzale Milano, oggi piazza Paride Pelli. Campo rigorosamente all’aperto in qualsiasi stagione, come del resto era la norma all’epoca. Con la SAL collaborava Tracuzzi, che spesso veniva ad allenarci lavorando soprattutto sulla tecnica individuale. Il mio ruolo era quello di playmaker e già il ruolo fa capire che sto parlando del passato. Fatto sta che colpii Tracuzzi, forse gli piacevano la mia passione e il mio impegno in difesa. Così nell’estate 1953 mi propose di passare a Varese”. Pochi chilometri di distanza, ma un salto di qualità verso un impegno quasi professionistico. Anche se il marchio e i soldi Ignis del commendator Borghi sarebbero arrivati solo nel 1956: “La squadra giocava nella palestra dei Pompieri di Varese ed era molto buona con Alesini, Checchi, Marelli, Zucchi e Giancarlo Gualco che sarebbe poi diventato il direttore sportivo della grande Ignis. Io cercavo di fare la mia parte: non ero un protagonista, ma mi facevo trovare pronto quando Tracuzzi chiamava”.

Erano gli anni dell’imbattibile Borletti Milano di Bogoncelli presidente e Cesare Rubini allenatore: “Varese era ancora una provinciale, mentre il Borletti faceva paura. A me piacevano in particolare Romanutti, Sforza e Stefanini: una mano terribile, la sua. Di quella Milano mi ricordo anche Pagani e un giovanissimo Sandro Gamba”. La vita da quasi professionista a Varese era piuttosto spartana: “Condividevo una camera con Tony Flokas, l’altro straniero della squadra. Un bravissimo ragazzo greco, che a Varese sarebbe rimasto qualche altro anno, giocatore con uno stile molto avanti rispetto ai tempi. Tornavo dai miei quando potevo, con questo percorso: partenza da piazza Monte Grappa a Varese, trenino Varese-Ghirla, pullman per Ponte Tresa, poi treno per Lugano, infine in bicicletta o a piedi verso casa. Lo dico solo perché i bei ricordi scaldano il cuore, non per esaltare chissà quali sacrifici. Anzi, la passione per la pallacanestro mi faceva sembrare tutto bellissimo”. E non si pensi che i giocatori di alto livello se la passassero meglio, perché anche Balmelli era un giocatore di alto livello. Nazionale svizzero, perse il torneo preolimpico per i Giochi di Helsinki a causa della rottura di un legamento in un’amichevole contro l’Italia al Palaghiaccio di via Piranesi a Milano, ma rientrò in squadra l’anno successivo partecipando ai Campionati Europei di Mosca. Statistica un po’ amara: la Svizzera avrebbe partecipato anche a quelli del 1955, ma da allora non si è più classificata per una fase finale nonostante ormai vi partecipino 24 squadre. Di sicuro i nazionali dell’epoca non potevano vivere di pallacanestro: “Quando venivo convocato a Ginevra per i raduni di due giorni il rimborso spese non bastava nemmeno per una camera d’albergo e così dovevo farmi ospitare da amici di mia madre. Ma, ripeto, la passione era enorme. E dopo l’anno a Varese, quando Tracuzzi è andato ad allenare a Bologna, sono tornato a Lugano senza problemi chiudendo la carriera nel Cassarate”. Varese gli è rimasta però per sempre nel cuore: “Ho conservato tantissime amicizie e nel mio piccolo ho avuto qualche merito nel passaggio di Yogi Bough dalla Federale a Varese. Una guardia piccola ma esplosiva, uno di quegli americani che negli anni Cinquanta sembravano di un altro pianeta”. Anche lui, scomparso 5 anni fa, nella ideale hall of fame della pallacanestro ticinese: da giocatore, come Balmelli, ma anche come allenatore delle ragazze pluricampioni di Svizzera della Riri Mendrisio.

Nonostante i tempi eroici vissuti da Balmelli, il boom degli anni Settanta e i successi per niente antichi di Bellinzona, Snakes, SAV e Tigers, la pallacanestro ticinese è ancora alla ricerca della sua strada: “Il livello è buono, a Lugano c’è tanta gente che si dà da fare per allestire una squadra competitiva, ma vedo che purtroppo la gente non risponde. Di sicuro i ragazzi di oggi hanno più possibilità di svago rispetto a quelli delle generazioni precedenti. E magari quelli appassionati di pallacanestro guardano altri campionati”. Balmelli non ha smesso di seguire la sua Varese: “Domenica sera sarò davanti al televisore, dagli anni Cinquanta tutto è cambiato ma non il mio amore per questo sport”.

(pubblicato su Il Giornale del Popolo di venerdì 18 ottobre 2013)

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