Un aborto di marketing

2 Maggio 2013 di Stefano Olivari

La porcata del bastardo. La memoria (e non solo quella) sta perdendo colpi, ma saremmo pronti a giurare che questo era il titolo di un articolo di Gianni Clerici scritto nel 1977 per una rivista chiamata Tennis Club. Titolo che sintetizzava bene il contenuto del pezzo, riguardante una scorrettezza perpetrata da Jimmy Connors ai danni di Corrado Barazzutti durante la semifinale degli Us Open del 1977 (ultima edizione giocata a Forest Hills, ultima edizione sulla terra battuta prima del trasferimento a Flushing Meadows): in pratica la cancellazione del segno di una palla dubbia, con chiamata pro-Connors, prima che il giudice di sedia potesse andare a controllare. A dire il vero Connors, per tanti versi idolo perché capace di arrivare in cima al mondo quasi senza servizio e con un diritto solo appoggiato, era e sarebbe stato più sgradevole in tante altre occasioni. L’ultima in ordine cronologico quella per il lancio della sua recente autobiografia (come biografia consigliamo quella scritta da Joel Drucker qualche anno fa, Jimmy Connors mi ha salvato la vita ), intitolata The outsider. 401 pagine piene delle verità di Connors, forse l’essere più individualista visto all’opera nel tennis e per questo così antipatico da risultare alla fine simpatico proprio in quanto vero. Fra queste verità la rivelazione del figlio che lui e Chris Evert avrebbero aspettato ai tempi del loro fidanzamento (l’anno d’oro, per amore e tennis, fu il 1974) da numero uno del mondo o giù di lì. Un figlio che sarebbe stato un figlio del tennis almeno quanto quelli della coppia Agassi-Graf, ma che non sarebbe mai nato. Che sia stato un aborto da carriera, come sostiene Connors (ma chissà a parti invertite lui cosa avrebbe deciso, con i consigli di mamma Gloria) o un aborto naturale, usarlo per promuovere il libro ci ha ricordato quel vecchio articolo di Clerici. Eppure di sicuro The Outsider conterrà molti spunti, visto che la personalità di Jimbo si è formata avendo alla base il desiderio di rivalsa sociale di una famiglia piccolo borghese (ma non certo proletaria, come sostiene McEnroe: papà impiegato, per quanto semi-assente, e mamma insegnante di tennis) dell’Illinois agli albori del tennis Open e di un ragazzino con poco talento e tanta voglia trapiantato a Los Angeles per abbeverarsi alla fonte di Pancho Segura, altro grande outsider. Nel suo feroce individualismo, che poi lo ha portato anche fuori strada (soprattutto con il gioco d’azzardo), abbiamo sempre trovato in Connors molta onestà. Ma quella, da sola, non basta per promuovere i libri.

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