Il c.t. schiacciato

29 Giugno 2007 di Stefano Olivari

A Soweto inizierà e finirà tutto, speriamo solo calcisticamente. L’Esecutivo Fifa di mercoledì ha infatti ratificato alcune decisioni del comitato organizzatore di Sudafrica 2010 e fra queste la più interessante per noi fanatici è che l’incontro inaugurale dell’11 giugno e la finale dell’11 luglio saranno disputate allo stadio Soccer City di Johannesburg, per l’appunto a Soweto, che sarà per l’occasione portato a 95mila posti. Anche se esiste anche un progetto-bis per arrivare a 105mila…Forse non tutti gli amanti della Coppa sanno che delle dieci città che in teoria ospiteranno le partite Johannesburg è l’unica che lo farà con due stadi, lo storico Ellis Park (fra i mille eventi ospitati il Mondiale di rugby 1995, vinto dal Sudafrica in finale sugli All Blacks del miglior Jonah Lomu di sempre), attuale casa dei famosissimi Lions (Super 14), ed il Soccer City, o First National Bank Stadium, teatro casalingo degli Orlando Pirates nonché stadio simbolo della Coppa d’Africa 1996, quella vinta dai padroni di casa in finale sulla Tunisia. Attualmente terzo stadio d’Africa per capienza, dietro a quelli di Alessandria e Kinshasa, al termine dei lavori mondiali diventerà il primo. Famosi sowetani sono Doctor Khumalo e Lucas Radebe, eroi del 1996 ed anche mondiali (Khumalo solo nel 1998, Radebe anche nel 2002 ed oltretutto come capitano), ed il mitologico Jomo Sono, una specie di Ion Tiriac del calcio, oltre che c.t. ad Asia 2002.
Il problema di Johannesburg non è ovviamente la passione calcistica della zona, ma più banalmente l’ordine pubblico. Anche a non voler entrare in discorsi razziali-razzisti piuttosto che socioeconomici, perché qui si parla di numeri puri. Un Heysel troppo facilmente dimenticato è quello di sei anni fa, quando ad Ellis Park morirono in 43 durante un Orlando Pirates-Kaizer Chiefs: in uno stadio da 60mila erano entrate quasi 100mila persone ed altre migliaia premevano fuori. La Fifa può governare quello che accadrà dentro, ma il resto? In teoria, oltre alla prima ed ultima partita di Sudafrica 2010, il FNB Stadium ospiterà anche un quarto di finale e diversi incontri di primo turno. Quasi certamente quelli del Sudafrica…
Povero Jupp Derwall, pur non capendo il tedesco abbiamo visto lo spazio che i giornali tedeschi hanno dedicato alla sua morte: minimo, a parte qualche eccezione. Eppure è stato un grande commissario tecnico: assistente di Helmut Schoen in tre Mondiali (1970, 1974 e 1978), prese in mano la Germania Ovest in un momento difficilissimo, quello del post Beckenbauer (e Gerd Muller, Maier, Vogts, eccetera) giocatore, per pilotarla verso la vittoria nell’Europeo 1980 e la finale nel Mondiale 1982 prima di far posto al Beckenbauer allenatore dopo un Euro 1984 che può essere definito deludente solo da chi pensa che alla fase finale della manifestazione si siano sempre qualificati cani e porci. Il Derwall giocatore, classe 1927 che gli permise di vivere un periodo non proprio facile della storia tedesca, fu un discreto centrocampista offensivo (Alemannia Aachen e Fortuna Dusseldorf) ma riuscì comunque ad entrare nel giro della nazionale di Sepp Herberger, che nel 1954 qualche mese prima del miracolo di Berna addirittura lo prese in considerazione per la selezione dei Walter e dei Rahn. Tagliandolo però prima delle convocazioni definitive: la Coppa e l’epatite sarebbero toccate ad altri.
L’amore per il calcio più vero non gli passò, comunque, perché da allenatore dopo qualche esperienza in Svizzera ed al Fortuna appena ci fu l’opportunità di entrare nel giro federale la colse al volo, partendo dal basso, come tecnico del Saarland (città più famosa ovviamente Saarbrucken), un po’ come se Bearzot avesse iniziato come selezionatore dell’Abruzzo o del suo Friuli. Ma questo primo incarico federale può sembrare sfigato solo con gli occhi di oggi, visto che la storia calcistica di questo stato ha avuto momenti esaltanti, coincisi con quelli politicamente più confusi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, la Saarland era diventata un protettorato francese, con vari tipi di autonomia fra cui quella sportiva. Partecipò alle Olimpiadi di Helsinki 1952, solo nel pugilato, ed alle qualificazioni per il Mondiale di calcio 1954, addirittura nel girone della Germania Ovest, andando a battere la Norvegia in trasferta e finendo seconda (su tre, va detto). Ma stiamo divagando: la cosa importante è che allenatore della Saarland in quelle leggendarie ed uniche (nel 1956 si riunì alla Germania Ovest) qualificazioni mondiali era Helmut Schoen. Il cui gioco aggressivo, con un materiale umano modesto, colpì Herberger a tal punto che lo volle come assistente. Diventato allenatore in prima della nazionale (1964), Schoen continuava a seguire con simpatia la squadra, non più nazionale ma regionale, che l’aveva lanciato. E quando nel 1970 il suo assistente Udo Lattek andò al Bayern Monaco, Schoen pensò subito a Derwall, che per tre Mondiali (e che Mondiali) fu la sua ombra.
Dopo Argentina 1978 il prescelto fu proprio l’uomo della Westfalia, che volle come secondo Erich Ribbeck (che sarebbe salito al soglio massimo solo nel 1998, alla fine dell’era Vogts) ed iniziò a lavorare avendo come obbiettivo l’Europeo italiano. Missione compiuta, grazie ad una squadra che aveva in Rummenigge il leader tecnico ed in Uli Stielike quello emotivo. Senza dimenticare Toni Schumacher in porta, i cross di Kaltz, le discese di Briegel, la durezza dei Forster, il sinistro di Hansi Muller (non ancora rotto) e Klaus Allofs, capocannoniere grazie ai tre gol all’Olanda, e soprattutto la classe di Bernd Schuster. Per il Mondiale 1982 Derwall perse l’ottuso Schuster (e poi dicono della moglie di Shevchenko) ma trovò l’astro nascente Littbarski e recuperò uno dei campioni 1974, Paul Breitner, oltre che un passaggio del primo turno messo in discussione dalla sconfitta iniziale con l’Algeria di Madjer. Situazione ingloriosa, ricordando il tarocco di Gijon con l’Austria, ma che permise di arrivare fino in fondo, superando poi il girone con Spagna ed Inghilterra, per battere la Francia in quella che molte persone tifo-free definiscono la più bella partita di tutti i tempi ed arrivare mezzi morti con Rummenigge azzoppato nella finale del Bernabeu.
Storie che tutti ricordano, così come la campagna di stampa che dopo Euro 1984 portò in carrozza Beckenbauer sulla panchina della nazionale senza sottoporsi alla trafila dell’assistentato che quando le federazioni erano una cosa seria rappresentava quasi un obbligo. Campagna per certi versi indecente, visto che fino al 90’ dell’ultima partita del girone con la Spagna, la Germania Ovest era in semifinale. Poi il colpo di testa di Antonio Maceda cambiò tutto, e la delusione di Derwall fu tale (ma più per il trattamento mediatico che per l’esonero) che rifiutò ogni offerta di club tedeschi e stupì tutti accettando il Galatasaray. Che a metà anni Ottanta aveva uno status internazionale davvero modesto: l’ingaggio di Derwall fu un segnale importantissimo che il calcio turco lanciò al mondo. Non caso fra gli allenatori cresciuti sotto l’ala di Derwall si possono ricordare Mustafa Denizli, ora in semidisgrazia ma che è stato c.t. turco oltre che allenatore di Gala, Fenerbahce e anche dell’Alemannia Aachen a fine anni Ottanta, e soprattutto Fatih Terim. Poi il ritorno in Germania, gli attacchi di cuore (il primo infarto è datato 1991), un certo disprezzo per il calcio di club e la sensazione di essere stato trattato troppo male come tutte le persone troppo educate. Educate e sfortunate, perché non è mai capitato a nessun c.t. di essere schiacciato fra un predecessore del carisma di Schoen ed un successore multidimensionale come il Kaiser. Senza recriminazioni pubbliche fino alla fine, avvenuta in quella Saarland che aveva lanciato lui ed il suo maestro. Adesso c’era il pretesto della morte, ma le occasioni per parlare di Jupp Derwall non mancheranno.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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