Il braccialetto di Bobby Moore

22 Giugno 2007 di Stefano Olivari

Fra le tante promesse di nuove rubriche non mantenute, ad almeno una vogliamo tenere fede. Con immensa gioia, visto che riguarda la nostra passione principale: la Coppa del Mondo di calcio, con la sua attualità anche lontana dall’evento in sè stesso, e soprattutto la sua storia. Una passione che nasce dal 1974, anno dei primi ricordi veri, e da un Germania Ovest-Olanda di cui potremmo citare ogni azione a memoria. Non solo perché banalmente abbiamo riguardato un centinaio di volte la cassetta (ad un certo punto volevamo scrivere anche un libro solo su quella partita, poi siamo tornati in noi), ma perché da quel giorno l’attesa del Mondiale, il Mondiale vissuto in diretta ed il ricordo del Mondiale hanno scandito la nostra vita ed i suoi numerosi ma non certo storici eventi. Abbiamo scoperto di condividere questa mania con qualche migliaio di italiani, e senza grandi ricerche di mercato la cosa ci è sufficiente per iniziare la navigazione senza dilungarci nello spiegare che cosa differenzia il Mondiale ed in generale il calcio delle nazionali da quello per club. Non è un calcio tecnicamente migliore, quello del Mondiale, né un’isola di purezza di purezza da contrapporre al corrotto mondo dello sport professionistico quotidiano: però è di sicuro un calcio guardato dalla parte migliore di noi tutti, con un tifo ed un’ottusità che non vanno al di là di una bandiera sul balcone. Una competizione così poco inflazionata da rendere impossibile il crearsi di una classe di addetti ai lavori o di esperti, con il loro fardello di amici degli amici. Per questo il Mondiale è di tutti, anche di chi non è un grande appassionato di calcio. Il nostro approccio alla materia sarà maniacale, giocandoci le centinaia di libri e filmati sull’argomento, oltre a testimonianze dei protagonisti raccolte lontano dal momento di loro massimo fulgore (del resto non siamo mai sulla notizia). Sperando di non sconfinare nella retorica del bel calcio di una volta anticipiamo che non ci saranno schemi o gerarchie, ma solo associazioni mentali: Ungheria-El Salvador del 1982 per noi avrà lo stesso valore di Italia-Francia 2006.
Volendo partire con l’attualità, è scontato andare a vedere quando inizierà davvero Sudafrica (o Germania, o Australia…) 2006. Per la precisione inizierà il 25 agosto, in quell’Oceania priva dell’Australia che andrà a giocarsi per la prima volta le sue chance in Asia, evitando il solito spareggio sudamericano, per non dire uruguayano. Inizierà con i tredicesimi South Pacific Games, nelle isole Samoa, che costituiranno una specie di prequalificazione per il girone oceanico vero e proprio. Nelle Samoa, nel Blatter Playng Fields Complex di Apia (Apia è la capitale, Blatter è esattamente il Blatter che pensate, i soldi usati per lo stadio sono quelli del Goal Project della Fifa) si vedranno in campo dieci nazionali: nel primo gruppo le Fiji, Tahiti, Nuova Caledonia, Isole Cook e Tuvalu: nel secondo Samoa, Isole Solomon, Vanuatu, Tonga e le Samoa americane. Curiosità: Tuvalu non è iscritta alla Fifa, le Samoa americane sono secondo il ranking Fifa la peggiore squadra del mondo (a parità con altre nove, fra cui il neoentrato Montenegro che presto lascerà la compagnia) mentre quella più quotata è la Nuova Zelanda, al posto 154 di una graduatoria discutibile ma fondata comunque su parametri oggettivi. Chiusura il 7 settembre, con le prime due dei gironi che andranno alle semifinali: la finale per il terzo posto sarà decisiva, perchè saranno solo le prime tre del torno ad unirsi alla Nuova Zelanda per formare un girone a quattro (la OFC Nations Cup), con la prima che andrà a giocarsi lo spareggio contro una asiatica. Nelle scorse prequalificazioni in evidenza le isole Solomon di Alan Gillett, che giocavano in casa, e Vanuatu. La squadra di Gillett nel girone finale riuscì addirittura a sopravanzare la Nuova Zelanda, che da Vanuatu fu addirittura battuta nello scontro diretto. Se non ci fosse stata l’Australia, magari…Inutile dire che grande favorita per andarsi a giocare il posto mondiale con un’asiatica è la Nuova Zelanda, il cui unico Mondiale risale al 1982 (il mancino inglese Steve Wooddin, il recordman Steve Sumner e soprattutto Wynton Rufer: adesso piangiamo). Gli All Whites da un punto di vista tecnico sono nel peggior momento tecnico della loro storia, anche se leggendo i tabellini delle loro ultime partite (non possiamo fingere di averle guardate) balzano all’occhio nomi noti come il capitano Ryan Nelsen, difensore trentenne che dopo l’infortunio ha riconquistato il suo posto nel Blackburn di Mark Hughes, il mediano Simon Elliott che nel Fulham è un comprimario ma che nella MLS ha un buonissimo passato, o il prospetto (anche lui Fulham) Chris James. Non è uno sconosciuto neppure il maturo Ivan Vicelich, da anni in Eredivisie (prima al Roda, adesso all’RKC). La punta di diamante dovrebbe essere ovviamente Chris Killen, che ha da poco firmato con il Celtic dopo un bellissimo anno all’Hibernian. Diciamo anno non a caso, visto che a Edimburgo l’ex Oldham ha di fatto giocato dal gennaio 2006 al gennaio scorso, quando si è sfasciato un ginocchio. Gli altri neozelandesi, onestamente, non li abbiamo mai sentiti nominare, ma una nazionale del 1982 merita sempre il nostro cuore.
Volendo chiudere con la storia riproponiamo un episodio già ricordato nella nostra rubrica su Mister Football, l’inserto sul calcio britannico del Guerin Sportivo (ma come ce la tiriamo, sarà perché il Guerino lo leggiamo proprio dal 1974) diretto e soprattutto scritto da Roberto Gotta. Un episodio che anche chi ama sia l’Inghilterra che il Mondiale forse ricorda poco…Prima del Mondiale 1970 i campioni del mondo in carica andarono a giocare due amichevoli fuori dal Messico, per abituarsi all’altitudine sfuggendo al tempo stesso alla pressione dei media. Scelta teoricamente giusta, ma Ramsey aveva fatto i conti senza il senso di impunità dei calciatori, molto sviluppato anche in una presunta età dell’innocenza. Nel Tequendama Hotel di Bogotà ci si annoiava, con i Leoni che ciondolavano fra i negozi ed il bar (tendenza bar). Ad un certo punto la tranquillità del ritiro colombiano fu sconvolta dalle urla di un commesso della boutique Fuego Verde, situata all’interno della struttura, che accusava nientemeno che Bobby Moore di avergli rubato un braccialetto di smeraldi. Il capitano inglese spiegò al commesso, e più tardi al proprietario ed a Ramsey, di essere entrato nel negozio insieme a Bobby Charlton, ma di esserne anche uscito senza comprare né tantomeno rubare niente. Versione confermata da Charlton, che ammise di avere preso in considerazione l’acquisto di una collana per la moglie Norma, ma di non averlo fatto, e che in ogni caso in quel negozio non aveva visto braccialetti. Confusione generale, con equivoci linguistici degni di un film con Lino Banfi ed il selezionatore inglese che finse di credere alla versione dei suoi giocatori. Il direttore dell’albergo calmò il commerciante, forse con una vaga promessa di risarcimento: in fondo nessuno poteva dimostrare niente e l’incidente sembrò quindi terminare lì. Anche se la notte prima, a Città del Messico, era accaduto qualcosa di simile, con un venditore ambulante di orologi che aveva lamentato la scomparsa di un suo pezzo: Ramsey addirittura si era offerto di rifondere lui il danno, prima che i giocatori contribuissero con una colletta. Insomma, quando si dice la sfortuna…Dopo l’amichevole con la Colombia la nazionale inglese partì alla volta dell’Ecuador per un’altra partita: il volo di ritorno in Messico prevedeva uno scalo a Bogotà, ed una sosta nello stesso albergo del presunto furto. Brutta scelta, perché improvvisamente saltarono fuori testimoni oculari improbabili, richieste di risarcimento per il decuplo della merce forse rubata (non si chiarì nemmeno se fosse mai esistita) ed addirittura una specie di fermo di polizia per Moore. Sintetizzando una storia complicatissima, Ramsey decise di partire per il Messico con la squadra lasciando Moore a Bogotà, dove gli si evitò la prigione mandandolo agli arresti domiciliari preso l’abitazione di un

dirigente federale colombiano. Incidente diplomatico internazionale e Moore liberato con la promessa che si sarebbe recato presso l’ambasciata colombiana a Londra nel caso l’indagine fosse andata avanti. L’inchiesta andò effettivamente avanti per altri cinque anni, con ritmi latini, sfociando in niente. Il 2 giugno l’Inghilterra esordì in quel Mondiale contro la Romania del Mircea Lucescu giocatore, battendola con un gol di Hurst. Moore giocò benissimo, e nella partita dopo, quella contro il Brasile ricordata soprattutto per la parata di Banks su Pelé, ancora meglio: le immagini dei suoi tackle su Jairzinho furono per anni proiettate nelle scuole calcio inglesi, come esempio di pulizia, forza e precisione.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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