Hamsik non ha torto

18 Maggio 2009 di Stefano Olivari

di Diego Del Pozzo

Il comportamento del pubblico di casa durante la partita tra Napoli e Torino è stato semplicemente vergognoso, in particolare per il consueto accanimento nei confronti di Paolo Cannavaro, napoletano “doc” e capitano della squadra. La “grave” colpa del difensore centrale è stata, agli occhi degli imbecilli che l’hanno fischiato per tutta l’ultima mezz’ora di gioco, quella di essersi fatto superare da Rolando Bianchi in occasione del gol del pareggio granata: non una papera, intendiamoci, ma una normale azione di gioco, con buon movimento offensivo dell’attaccante a sbilanciare il difensore azzurro; insomma, un confronto tra due atleti, come ne possono capitare tanti nel corso di un match. Ovviamente, Cannavaro si è molto innervosito per l’atteggiamento scorretto del pubblico e, nei minuti conclusivi, s’è lasciato andare a qualche errore di troppo e pure a un paio di interventi scomposti, rimediando l’ammonizione e rischiando addirittura di essere mandato via dall’arbitro prima del fischio finale. Se il pubblico napoletano, invece di sostenere la squadra, vuole per forza fischiare qualcuno, dovrebbe innanzitutto lasciare in pace chi dedica tutto se stesso alla causa, con impegno e serietà; e, se proprio deve, potrebbe pensare di concentrare i propri sforzi su quei giocatori che, per mesi, hanno privilegiato la vita notturna all’impegno agonistico, oppure su quegli altri – come Marek Hamsik, irritante anche ieri – che hanno smesso di giocare da più di tre mesi, concentrando la propria attenzione unicamente sul modo più indolore per lasciare quanto prima squadra e città. E come dare torto, d’altra parte, a Hamsik o a chiunque altro voglia lasciare il Napoli prima della scadenza naturale del proprio contratto? Nel corso di questa stagione, infatti, diversi giocatori partenopei hanno subìto rapine dolorose e dai contorni assolutamente poco chiari (lo stesso Hamsik, a fine dicembre, s’è visto puntare una pistola in bocca in pieno centro cittadino…); inoltre, non va dimenticata la gravissima irruzione dei tifosi – anche se, a voler essere più precisi, non li si dovrebbe chiamare così – nel centro sportivo di Castelvolturno per imporre ai calciatori i loro diktat minacciosi. Pensando a tutte queste cose, poi, come si può altresì dare torto ai giocatori che – come per esempio Floccari o, in anni passati, lo stesso Rolando Bianchi – decidono di rifiutare le avances del Napoli e scelgono di andare a giocare altrove? Per quale motivo, infatti, un professionista dovrebbe venire a esibirsi in una realtà sociale ormai completamente sfaldata come quella del capoluogo campano, alle dipendenze di una società che ha chiaramente mostrato di non saper gestire al meglio i rapporti con la propria turbolenta tifoseria e in un ambiente che, alla prima difficoltà, si rivolta contro i propri beniamini? In conclusione, Napoli-Torino ha rafforzato in noi una convinzione, che d’altra parte ci ha sempre accompagnato in questi mesi: la travolgente crisi che, dall’inizio del 2009, ha compromesso la stagione del Napoli si spiega anche, o forse addirittura soprattutto, col contesto ambientale ostile nel quale la squadra ha dovuto giocare per molto tempo, poco o per nulla tutelata da una società che, in quel frangente, ha mostrato per intero la sua inadeguatezza al livello della Serie A. Ricordiamo quei mesi, per far sì che non debbano ripetersi mai più: una squadra giovane e inesperta letteralmente terrorizzata nelle partite al San Paolo (bastino, come esempi, gli autentici “linciaggi” dei difensori in Napoli-Bologna, Napoli-Lazio e Napoli-Genoa), il presidente De Laurentiis per quasi un mese negli Stati Uniti per lavoro, il solo Marino lasciato in città a maneggiare la dinamite, il silenzio assordante di entrambi i dirigenti (solitamente molto loquaci), Edy Reja identificato come unico capro espiatorio della situazione, la già ricordata irruzione dei tifosi nel centro sportivo con relative minacce ai giocatori, la mancanza di una figura carismatica (Bruscolotti come team manager) da proporre come filtro con l’ambiente e la tifoseria, la disorganizzazione trovata da Donadoni al suo arrivo. Insomma, altro che Champions League o Coppa Uefa (dal prossimo anno Europa League): per puntare in alto bisogna ancora crescere tanto, investendo innanzitutto sul potenziamento di una struttura societaria che continua a fare acqua da tutte le parti e che, finora, ha saputo gestire egregiamente Serie C1 e Serie B ma va rafforzata senza indugi per potersi confrontare sullo stesso terreno con le vere grandi del calcio nostrano.
Diego Del Pozzo
(per gentile concessione dell’autore, fonte: Calciopassioni)
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