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Cinema

C’era una volta… a Hollywood, il gran finale di Tarantino

di Stefano Olivari

Pubblicato il 2019-10-03

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C’era una volta… a Hollywood è un raro caso di film d’autore dal grande successo commerciale: l’ultima opera di Quentin Tarantino ha finora incassato al cinema, soltanto in Italia, circa 10 milioni di euro. E nel mondo veleggia oltre i 350, il quadruplo dei comunque notevoli costi di produzione: Leonardo Di Caprio, Brad Pitt e Margot Robbie non hanno lavorato gratis, non sono giornalisti che si accontentano di due tartine o di 12 euro ad articolo.

Siamo rimasti fra gli ultimi a leggere i quotidiani e possiamo affermare senza timore di smentita che la critica italiana è stata, nella media, piuttosto fredda nei confronti di un film epico e commovente, che gioca con i generi (dal western al documentario, passando per il B-Movie e tutto il resto) ma riducendo al minimo il citazionismo cinefilo che da sempre zavorra un genio come Tarantino.

A nostro giudizio il film è esaltante, il migliore di Tarantino, lo straconsigliamo anche a chi non va al cinema, appena sarà disponibile sulle varie piattaforme o in dvd. Ma invece di ammorbarvi con la nostra recensione, che annoia già noi al solo pensarci, preferiamo sottolineare alcuni punti, per discuterne con i tanti che lo hanno visto.

C'era una volta Hollywood
  1. Per la prima volta Tarantino usa i generi per superarli, prendendone le distanze. Vale anche per l’amatissimo western, proposto (film nel film) in una curiosa versione ibrida fra America e Spaghetti.
  2. Le vicende della Manson Family, quelle culminate con la strage nella villa di Sharon Tate e Roman Polanski, nell’agosto 1969, sono un po’ il filo conduttore del film ma non lo ingabbiano. E anzi la ricostruzione della storia è su più livelli.
  3. Brad Pitt ha diverse espressioni più di Giuliano Gemma, ricordando la famosa battuta applicata a Clint Eastwood e tanti altri, e qui è ai massimi livelli nei panni di uno stunt-man fallito. Di Caprio e la Robbie sarebbero i teorici protagonisti e sono anche bravi, ma lui giganteggia: di culto il suo litigio con Bruce Lee.
  4. Solo un grande regista può con poche pennellate e senza sangue ricostruire l’orrore di quei ragazzi (soprattutto ragazze) plagiate da Manson e l’amarezza del declino, ben recepita da Di Caprio e Pitt, oltre che sfottere senza moralismi l’LSD e il mondo che lo apprezzava.
  5. Leggendario, in tutti i sensi, il finale, uno dei più belli mai visti al cinema per la tensione che si era creata.
  6. Come al solito, anche nella fiction, la morte delle persone ci turba molto meno di quella dei cani e non ci mettiamo tranquilli fino a quando l’animale non si salva. Dai, qui spoileriamo: il cane non muore.

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