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Bagaglio a mano

Una nuova domenica a Belfast

Paolo Sacchi 31/03/2015

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Johnny Jameson non ha mai avuto alcun rimpianto della scelta. Ci sono voluti però altri trentadue anni prima di vedere la nazionale biancoverde in campo a Belfast, nel proprio stadio di casa, nel “giorno del Signore”. Domenica 29 marzo 2015, alle ore 17, per la prima volta nella secolare storia dell’IFA, si è infatti disputato un incontro di calcio internazionale sul suolo nordirlandese. La gara con la Finlandia, per la cronaca valevole per le qualificazioni a Euro 2016 e vinta meritatamente 2-1 dagli uomini di Michael O’Neill, è stata una prima assoluta. Dibattiti, discussioni, polemiche hanno fatto da preludio a quella che i protestanti o, per meglio dire, la componente più radicale – che non ha mancato di far sentire la propria voce anche fuori dello stadio – ha definito come una “profanazione” e un “segno di scarso riguardo dei diritti” dei fedeli. In ogni caso, nonostante i prezzi dei biglietti a livello di Premier League, il colpo d’occhio a Windsor Park – seppure in fase di ristrutturazione – era notevole: tutto esaurito e grande entusiasmo prima, durante e dopo i novanta minuti di gioco, con la qualificazione a Francia 2016 quasi dietro l’angolo.

Il divieto di giocare al calcio di domenica in Irlanda del Nord è tanto singolare quanto poco noto aldilà delle isole britanniche. Pur non ancora ufficialmente codificato, il bando era già informalmente rispettato dalla fine dell’Ottocento, dai tempi dell’Irlanda unita. La successiva suddivisione del Paese in due entità separate ha trasformato il riposo della domenica di origine biblica in un veto ufficiale da parte della federazione che nel frattempo proseguiva la propria attività nelle sei contee dell’Ulster rimaste fedeli alla corona. Nulla di particolarmente eccentrico, quantomeno dalle parti di Belfast: a dirla tutta, in alcuni quartieri unionisti fino agli anni Sessanta anche le altalene dei bambini venivano appositamente bloccate per impedirne l’utilizzo nel sacro giorno di festa.

Nel 1922, quando l’Irlanda si divide, mentre a sud si liberalizza lo sport domenicale, nel nord si mette nero su bianco che il settimo giorno della settimana al football non si può giocare. Introdotto formalmente negli anni Trenta, il divieto resiste a qualsiasi richiesta di deroga presentata da club affiliati all’IFA fino al 2008, con unica eccezione quella già descritta relativa alle partite della nazionale all’estero. Poi, giusto sette anni fa, uno scossone: da un lato l’insorgere dei rischi di possibili cause civili che avrebbero potuto portare la Federazione di fronte alla Corte Europea per i diritti umani sul terreno minato della discriminazione razziale o religiosa, dall’altro la pressione mediatica interna sull’unica organizzazione sportiva europea ostinata a mantenere in vigore una regola ritenuta da molti anacronistica e limitante.

Per farla breve l’IFA decide di cancellare l’articolo 17 e sostituirlo con il 36 bis che, sotto certi punti di vista, libera gli incontri domenicali. Con un accorgimento: la decisione deve essere condivisa dai due club interessati. Quando nel settembre dello stesso anno Glentoran e Bangor recuperano una gara cancellata il giorno prima e scendono in campo nel “giorno del Signore”, al loro arrivo al The Oval trovano un nutrito gruppo di protestanti (in tutti i sensi del termine) appartenenti alla Libera Chiesa Presbiteriana dell’Ulster, non particolarmente entusiasti della scelta delle due compagini. Il match si disputa regolarmente ma non alimenta uno spirito d’emulazione in altre società. Per tradizione, per non sovrapporsi al calcio televisivo della Premier, ma anche per non scontrarsi con le autorità della Chiesa Protestante. Ed evitare il rischio di eventuali danni collaterali, come nel caso del Ballymena United, abbandonato dallo sponsor per aver disputato un’amichevole di precampionato nel giorno sbagliato. Nel frattempo, il Linfield, club di Belfast che annovera tra i proprio sostenitori un’evidente componente settaria protestante, introduce una norma che vieta l’utilizzo di Windsor Park, il proprio terreno di gioco, nei giorni di festa. Una decisione poi rivista e limitata alle proprie esibizioni che, per paradosso, avrebbe messo il lucchetto anche alle finali delle competizioni domestiche e alle gare della nazionale che utilizza e oltretutto finanzia, attraverso l’IFA, i lavori di ristrutturazione dell’impianto.

Quando l’UEFA ha stilato i calendari di Euro 2016, collocando il match tra Irlanda del Nord e Finlandia di domenica, ha avviato quel che per molti era ormai inevitabile. Il capitolo finale di una storia unica nel suo genere su cui si riflettono i contrasti di una terra – l’Ulster – altrettanto unica nel suo genere. Una provincia in cui si può essere contemporaneamente britannici e irlandesi, atei e praticanti, all’interno di confini e barriere non solo fisiche che questa vicenda contribuisce a rendere più sfumate.

Da Belfast Paolo Sacchi, in esclusiva per Indiscreto

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