Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio, le vite di Gualtiero Jacopetti

16 Giugno 2019 di Andrea Ferrari

Con l’inizio dell’estate parte il rituale dei consigli per la lettura. Il più delle volte si parla di ultime uscite su imbeccata di case editrici (ormai per i giornalisti bastano una tartina e del prosecco più acido delle piogge di Chernobyl) o del libro dell’amico. Questo schema, però, non può valere  per i gusti sofisticati, ma anche nazionalpopolari, dell’Uomo Indiscreto.

Questo schema non può valere nemmeno per Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio. Il cinema, la memoria, la morte: l’ultima conversazione con Gualtiero Jacopetti,di Franco Prosperi e Stefano Loparco (Edizioni Il Foglio, 70 pagine).

È il racconto, non di rado struggente, degli ultimi incontri tra Gualtiero Jacopetti, una delle personalità più interessanti e controverse del Novecento italiano, fra giornalismo d’assalto e cinema, e il suo collaboratore storico Franco Prosperi.

Jacopetti, tanto celebrato all’estero quanto snobbato e poi criticato in patria (l’esatto contrario del suo idolo e amico Indro Montanelli), è stato, tra le sue varie incarnazioni, l’inventore del genere Mondo, nato dal successo di Mondo Cane, film dall’enorme successo che dà anche il nome al progetto attuale di Mike Patton dei Faith No More e che, in alcuni spezzoni, fu anche utilizzato dagli U2 nello Zoo TV Tour.

Oggi, in tempi di politically correct imperante, Jacopetti verrebbe ancor più attaccato per le sue opere: dalla scomoda e azzeccata profezia sulla decolonizzazione di Africa Addio alla durezza nel raccontare lo schiavismo in America di Addio zio Tom, film da cui hanno tratto a piene mani lo Spielberg di Amistad e il Tarantino di Django Unchained.

Il libro è la cronaca degli incontri che, da un lato riannodano i fili dell’amicizia tra Jacopetti e Prosperi spezzata a metà anni Settanta da liti sui diritti dei film girati assieme, e che, al contempo, sono l’evento clou degli ultimi giorni di vita di uno Jacopetti lucido fino alla fine: “La nostalgia per la vita che dovremo lasciare contribuirà ad ucciderci”.

Il merito del libro, oltre ad aneddoti divertenti e malinconici, sta nel sapere descrivere, in maniera sintetica, quasi chirurgica, il senso della vita e dell’amicizia, che forse è il sentimento più puro tra gli esseri umani, da parte di chi sa che la vita lo sta per abbandonare. Uno Jacopetti ormai arrivato ai titoli di coda s’accomiata così di fronte all’amico ritrovato:Che brucino quello che resta di me. Prima però, vorrei che mi levassero gli occhi. Vorrei che li dessero a un cieco, a qualcuno che non può aver visto quello che noi abbiamo visto.”

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