Abolire la caccia in Italia?

2 Ottobre 2018 di Indiscreto

La morte di Nathan Labolani, il diciottenne ucciso da un cacciatore che lo aveva scambiato per un cinghiale, ha fatto tornare di attualità le polemiche contro la caccia. La cui stagione, In Italia, è regolata dalla singole regioni e soprattutto dalle province con un delirio di casi e sottocasi che faticavamo a tenere a mente anche quando in casa nostra c’erano dei cacciatori (è successo anche questo). Pare che il ragazzo non fosse un passante, ma un cacciatore lui stesso e che quindi in qualche modo se la sia cercata, ma questo non toglie il dispiacere per una giovane vita finita in maniera assurda. Vita che peraltro noi poniamo sullo stesso piano di quella del cinghiale, ma questo è un altro discorso. Il ‘Di qua o di là’ è molto semplice: è arrivato il momento di abolire definitivamente la caccia in Italia?

I numeri dicono che questa passione-tradizione, che facciamo fatica a chiamare sport, è in declino da anni. Dai circa 1.800.000 cacciatori italiani di inizio anni Ottanta, in sostanza il 3% della popolazione, si è passati ai circa 775.000 attuali (dati ISTAT basati sulle licenze), l’1,2% degli italiani di adesso. Con la solita regionalizzazione molto forte: rapportando le licenze all’ampiezza del territorio stravince la Toscana, davanti a Liguria, Umbria e Lombardia, con il Trentino Alto-Adige in un lodevole ventesimo posto (dovuto anche alle mille limitazioni provinciali). Insomma, la caccia in Italia sta morendo di morte naturale perché i vecchi cacciatori vengono sempre meno sostituiti dai giovani. E anche il numero di incidenti mortali, che pure fanno notizia, è bassissimo. Nella scorsa stagione in totale 30 morti (di cui 20 cacciatori) e 84 feriti. È più pericoloso, in termini assoluti ma anche in rapporto ai praticanti, essere un ciclista che essere un cacciatore. Il problema è quindi soprattutto di tipo etico, il che non significa che sia inferiore.

Se già uccidere animali per il proprio nutrimento è oggetto di discussione, farlo per divertimento è nel 2018 una posizione difficilmente sostenibile anche da parte degli stessi cacciatori, che infatti si aggrappano sempre più a motivazioni ambientalistiche. Senza contare i pericoli gratuiti a cui si sottopone la collettività (gli incidenti sono pochi perché in tanti stanno alla larga dalle zone di caccia), la lesione di diritti come la proprietà privata e altro ancora. Dall’altro lato la realtà dice che l’allevamento, intensivo e meno intensivo, è un milione di volte di volte più crudele della caccia, con anche la viltà dell’utilizzatore finale che mangia la bistecchina ma dal punto di vista emotivo la separa dal processo che l’ha portata sul suo piatto. E nemmeno entriamo nella polemica sulla macellazione halal o kosher: il fatto stesso che se ne discuta significa che non c’è speranza. Più modestamente il nostro ‘Di qua o di là’ è sulla caccia in Italia: abolirla o no?

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