Attualità

Wirecard e il mito del fintech

Indiscreto 26/06/2020

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Che cos’è Wirecard, al centro dello scandalo finanziario del momento? È un’azienda tedesca che si occupa di fornire tecnologia per pagamenti elettronici e carte di credito, un po’ alla PayPal, ma attraverso una sua controllata è anche come una qualsiasi banca online. Fino a pochi giorni fa Wirecard era una stella del cosiddetto fintech, qualsiasi cosa significhi questo termine. Una libera traduzione in italiano corrente potrebbe essere questa: fare la banca senza avere gli sbattimenti di filiali fisiche, dipendenti, sindacati, queste cose qui, e tirarsela anche da fighi.

Wirecard, dunque: cosa è successo? In sintesi: si è scoperto che i suoi bilanci erano taroccati, le è stato sospeso il rating (Quello di Moody’s era Baa3, non pessimo) e l’amministratore delegato Markus Braun è stato arrestato. Ovviamente la quotazione del titolo è crollata, per la gioia di Massimo Ruggero e di Paolo-Wang che ovviamente avevano shortato.

Sì, ma a noi che aspettiamo i gol della B e abbiamo 15.000 euro di Btp cosa ce ne frega? Di base niente, ma la storia è lo stesso interessante: visto che due miliardi di euro, il 70% del fatturato 2019 dell’azienda, ufficialmente depositati dai manager tedeschi nelle Filippine (chi non vorrebbe mettere il suo denaro al sicuro nelle Filippine?), sono letteralmente scomparsi in stile Parmalat. Certo, in maniera moderna, non con Tonna che sbianchettava, ma il concetto è quello.

Qual è il punto? Il punto è che fino a poco tempo fa Wirecard veniva trattata da politici e media come una delle grandi banche tedesche, anche perché formalmente lo era ed in più sembrava ‘giovane’. Da notare che il price earning (il rapporto prezzo/utili) di Wirecard è (meglio, era) quasi di 50, in un settore come quello bancario dove raramente si va al di là del 10. Traduzione: è sempre stata, in ogni caso, un’azione sopravvalutata, ma basta mettere le quattro magiche lettere, ‘tech’, per vedere schizzare le quotazioni.

Per le analisi rimandiamo ai media specializzati, noi dal bar ci poniamo una domanda: cosa accadrebbe ai nostri soldi depositati in una di queste ‘nuove’ banche, da Revolut a N26, da Illimity a Bunq, da Widiba a Buddybank, eccetera, in caso di fallimento? Risposta semplice: dipende dai fondi di tutela interbancari dei paesi di appartenenza. In Germania, per fare il primo esempio che viene in mente, è di massimo 100.000 euro per correntista per banca come in Italia e in gran parte d’Europa.

Ma ci sono paesi che non prevedono niente di simile ed altri, come gli Stati Uniti, che hanno banche assicurate (fino a 250.000 in totale per correntista) con soldi pubblici ed altre che non lo sono. In Svizzera, dove l’Uomo Indiscreto mantiene i suoi conti cifrati, la garanzia è di 100.000 franchi per correntista per banca. Non siamo del settore, ma ci dicono che la normativa sia abbastanza vaga per i paradisi fiscali targati UK. In estrema sintesi, se la vostra banca ipertecnologici e iperfiga ha sede in Europa il vostro centello dovrebbe tornare alla base, anche se spesso a prezzo di procedure rognose con difficoltà di tempistica e di lingua.

Conclusione? La prima: anche in Germania sono disonesti e cialtroni (ma sempre meglio che fanatici). La seconda: il fintech è soltanto una modernizzazione del concetto di banca, ma non è che sia più trasparente delle vecchie strutture. Infatti i dirigenti sono spesso gli stessi, con l’aggravante dell’atteggiamento da giovani.

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