Anni Ottanta
We are the world: la notte che ha cambiato il pop
Paolo Morati 05/02/2024
Ci sono tante cose interessanti nel documentario We are the world: la notte che ha cambiato il pop, disponibile su Netflix. Siamo alla fine del 1984 e ad Harry Belafonte viene l’idea di un brano che possa aiutare le popolazioni etiopi colpite dalla carestia. Sull’onda di quanto già fatto da Bob Geldof con il suo progetto Band Aid, ecco che Lionel Richie e Michael Jackson scrivono a quattro mani un brano destinato a fare la storia, supportati da Quincy Jones. E registrato (appunto) in una notte.
Tante le chicche. Da un Bob Dylan visibilmente a disagio in mezzo a voci (e personalità esuberanti) ben diverse dalla sua, all’entusiasmo di Ray Charles, fino a Prince che vuole suonare la chitarra in una stanza separata per poi non presentarsi all’appuntamento nonostante i solleciti di Sheila E. Ecco che la sua parte vocale viene affidata in corsa a Huey Lewis, che svolge egregiamente il compito, affiancando Kim Carnes e Cindy Lauper in uno dei momenti più memorabili di We are the world. Ma è fin dalla genesi del progetto che si capisce che cosa sia il genio che sta dietro a una canzone di successo, che può o meno piacere ma che ha segnato gli anni ’80 e non solo, costruita in pochi giorni e soprattutto da registrare in una manciata di ore notturne. Raggruppando a Los Angeles, il 28 gennaio del 1985 nel post serata degli American Music Awards, una quarantina di star.
Tanti i passaggi coinvolgenti. Dalla costruzione dei cori alla decisione di bocciare la proposta di Stevie Wonder di interpretare alcuni versi in swahili, e la discussione su ‘brighter’ o ‘better’, fino alla disposizione a ferro di cavallo dei solisti che devono entrare a tempo ed essere ben precisi nonostante l’orario. Compresi problemi tecnici che in un’era ancora in parte analogica (il provino del brano viene spedito via posta su musicassette) erano più difficili da risolvere rispetto a oggi. Senza fare ulteriori spoiler, il racconto da un’ora e mezza è senz’altro per appassionati, con una narrazione senza clamori e supportata da alcuni testimoni dell’epoca. Bruce Springsteen compreso. Più che consigliato a chi ha vissuto quel decennio fantastico ma anche a chi vuole saperne di più su un episodio del tutto unico della discografia.