Calcio

Visti ma non sentiti

Stefano Olivari 11/06/2010

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di Stefano Olivari
Finalmente si è iniziato a giocare, con due partite piene di errori e quindi divertenti. La retorica da uomo bianco progressista, del genere ‘mai vista una cerimonia inaugurale tanto colorata’, ha un qualcosa di razzista che non sapremmo spiegare: apprezzate il fatto che nemmeno proviamo a farlo.
La morte della bisnipote dopo il concerto ha tolto un Mandela da consegnare alla storia anche del calcio, quindi purtroppo sono rimaste cose che non sappiamo vedere e non sappiamo ascoltare: una specie di stereotipo dell’Africa povera ma allegra, ma chi si ricorda i filmati di presentazione di Italia Novanta (pizza e mandolino, quadri rinascimentali e antenati dei tronisti) deve ammettere che pochi paesi organizzatori hanno saputo fare meglio. Saltiamo quindi alla Gibilisco (un suo amico ci ha detto negli ultimi allenamenti pareva avesse nelle gambe i sei metri) i significati sociologici e storici del tutto, l’unico che ci viene in mente è che ogni quattro anni siamo qui.
Sudafrica e Messico hanno nella partita inaugurale confermato le impressioni della vigilia. Di una scarsezza tecnica imbarazzante la squadra di Parreira, che il c.t. del Kuwait 1982 ha avuto l’intelligenza di bloccare in modo almeno di mettere almeno ostacoli fisici alla superiorità tecnica degli avversari. Che nel primo tempo hanno dato spettacolo, trascinati da un Giovani simile a quello che a Barcellona veniva giudicato superiore a Bojan e capaci di andare in almeno cinque occasioni vicino al gol. Il calcio e la vita sono ingiusti, quindi il Sudafrica ha tenuto lo zero a zero grazie anche alla sicurezza di Khune in porta ed ha rischiato di passare con Mphela, che per poco non è riuscito a sfruttare una buona azione di Thsabalala.
Nel secondo tempo il Messico del 4-3-3 è stato più alto, ma ha creato meno. Beccandosi anche una serie infinita di contropiede, partiti dal piede di Pienaar quando non direttamente da lanci del portiere. Gol di Tshabalala, un sinistro imparabile per il modesto Perez, grandi occasioni per Modise (una cancellata da un fallo da rigore di Rodriguez). Più disperazione che genialità in Aguirre nel mettere in campo Hernandez, inspiegabilmente accantonato all’inizio in favore di Franco, e il trentasettenne totem Blanco. Lento l’azteco, più vivo Hernandez che è entrato nell’azione che ha fatto trovare a Marquez il destro ravvicinato del pareggio. Male il fuorigioco di Mokoena e compagni, al di là dell’importantissimo gol brutta anche la partita del giocatore del Barcellona che quando gioca a centrocampo ci sembra assomigliare a Fresi (o a Caminero, per citare una trasformazione riuscita) per passo monocorde e sufficienza nei tocchi.
Nel finale ancora contropiede sudafricano e palo di Mphela a Perez battuto, quindi nella logica degli highlights i padroni di casa possono anche avere qualche rimpianto. Parreira ha tirato fuori il massimo da un gruppo modesto, il pubblico del Soccer City è stato contento. O forse no, visto che le vuvuzelas fra le altre caratteristiche hanno quella di emettere un suono sempre uguale: insomma, non c’è la vuvuzela di approvazione e quella di disapprovazione. Al gol più esultanza in campo che sugli spalti, il calcio di club è lontanissimo. Il Messico, che non ha ancora i suoi uomini chiave al top, può andare avanti, il Sudafrica non ha speranze con la Francia mentre contro l’Uruguay può sopravvivere solo grazie a un’altra partita strana.
Meno occasioni da gol, ma un grande confronto di stili in Francia-Uruguay. Domenech ha puntato sul 4-3-3 che sente più suo, con Gourcuff e due mazzolatori di qualità (Toulalan e Diaby a centrocampo), Tabarez sul 3-5-2 tedesco classico preferendo in attacco Suarez a Cavani. Finchè non è stata una battaglia hanno dominato i francesi (enorme l’occasione di Govou su invenzione di Ribery), poi gli uruguayani hanno conquistato il centrocampo ma inventato poco. Solo appoggi per un Forlan sempre in movimento, che raramente ha trovato una buona sponda in Suarez: partita di contenimento, come se ci fosse da difendere una qualificazione. Ed in effetti un po’ è stato così, visto che la prossima partita dell’Uruguay sarà con il Sudafrica e che se i valori tecnici verranno rispettati il 22 giugno a Rustenburg contro il Messico si potranno fare le barricate con tempo effettivo di 7 minuti su 90.
La Francia non ha mostrato cuore, nè unità di squadra, ma solo una generica superiorità smorzata da alcune prestazioni negative dei singoli: Gourcuff ha giocato la peggior partita dell’anno, Govou pessimo, Ribery attivo ma senza ispirazione. Troppo tardi è entrato Malouda, uno dei pochi veri jolly a disposizione di Domenech anche se ovviamente il meglio lo dà sulla sinistra, inutile il rimescolamento con Henry e Gignac. Concludendo? La Francia può solo migliorare e migliorerà, magari con Malouda per Govou. Per adesso, dopo due partite, questa è la nostra formazione ideale del Mondiale. Schierata con il 4-2-3-1, che permette di trovare una collocazione tattica a chiunque: Khune, Aguilar-Lugano-Abidal-Alvaro Pereira, Perez-Diaby, Dos Santos-Modise-Tshabalala, Forlan. Alcuni inserimenti sono stati tirati per i capelli, ma miglioreremo.

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