The Dark Side of the Moon 50

1 Marzo 2023 di Stefano Olivari

Esattamente 50 anni fa usciva The Dark Side of the Moon, secondo noi e secondo qualche decina di milioni di altre persone l’album definitivo non soltanto dei Pink Floyd ma di tutta la musica, uscito in un momento storico di equilibrio quasi perfetto fra possibilità tecniche e creatività, fra industria musicale e libertà. Eravamo già al mondo, ma mentiremmo se dicessimo di avere vissuto quell’epoca: i nostri primi acquisti discografici fatti da soli, in prima persona, sarebbero stati cinque anni più tardi i 45 giri di Capito?, dei Gatti di Vicolo Miracoli, della sigla di Happy Days (non Rock Around the Clock, l’altra) e di The Robots, dei Kratwerk. I Pink Floyd li abbiamo scoperti che erano già storicizzati: non sono (purtroppo, perché avremmo voluto nascere nel 1956) dei nostri tempi e addirittura abbiamo ascoltato The Pros and Cons of Hitch Hiking prima del Waters dei Pink Floyd.

Non stiamo adesso ad analizzare un disco straconosciuto e che ha 50 anni soltanto commercialmente, visto che prima per un anno fu rifinito e messo a punto eseguendo le canzoni nel The Dark Side of the Moon tour. Un disco il cui tecnico del suono era nientemeno che Alan Parsons, un po’ come avere Armani come guardarobiere o Verstappen come tassista. Non soltanto un tecnico ma anche un creativo, visto che fu sua l’idea degli orologi di Time o di coinvolgere Clare Torry nell’improvvisazione di The Great Gig in the Sky che anche riascoltata mille volte mantiene qualcosa di divino. Anche se l’idea dell’improvvisazione era stata di Gilmour. Fra l’altro la corista fu pagata pochissimo ed una trentina di anni dopo avrebbe vinto facilmente una causa per farsi riconoscere parte dei diritti, risultando infatti oggi coautrice del brano insieme a Wright.

Veniamo finalmente al punto su cui i devoti si scannano, a distanza di mezzo secolo: è, come altri dell’età dell’oro dei Pink Floyd, fondamentalmente un disco di Roger Waters? La risposta è un grosso no. Di Waters, dicono gli watersiani, fu l’idea di trattare un tema unico e sarebbe per questo che The Dark Side of the Moon è considerato IL concept album. Ma in realtà di temi ce ne sono tanti, dal consumismo alla morte, dalla pazzia alla superficialità. Al disco contribuirono davvero tutti e se proprio vogliamo mettere uno davanti agli altri si può dire che questo sia un disco più di Wright, che oltretutto aveva anche riciclato sue vecchie idee, come in Us and Them.

Poi lasciamo perdere il fatto che tutto sia stato ascoltato un miliardo di volte ed utilizzato a pezzi, a prescindere dal significato originale (ogni volta che sentiamo Money in un servizio di telegiornale sul caroprezzi, sui saldi o sull’ultima classifica di Forbes vorremmo spaccare il televisore), ma pur digerito, per non dire altro, dalla cultura pop The Dark Side of the Moon rimane un disco commovente, che fa capire fin dove possano arrivare gli esseri umani. Da ascoltare sempre, da regalare sempre (ai pochi che non ce l’abbiano), da studiare sempre perché certi riferimenti vengono colti in maniera diversa in base all’età. Genialità nella genialità, perché i Pink Floyd avevano all’epoca al massimo trent’anni.

stefano@indiscreto.net

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