Calcio

Si fa presto a dire Bilardo

Stefano Olivari 03/11/2008

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Saremo malati, ma l’idea di Maradona c.t. dell’Argentina continua a sembrarci esaltante più di altri abbinamenti del recente passato del genere campionissimo-sua nazionale (Beckenbauer, Van Basten, Blochin, Platini: guarda caso al loro livello hanno fatto tutti bene, per noi anche Platini) oltre che priva di sostanziali rischi per la squadra: terza in un gruppo sudamericano dove per non andare in Sudafrica bisogna davvero impegnarsi (in teoria ci si potrebbe quaificare anche con un quinto posto, che manderebbe allo spareggio con la quarta della CONCACAF). Maradona è stato troppo fuori dagli schemi, pur godendo di tutti i privilegi del vituperato ‘sistema’, per associarlo mentalmente ad un vecchio saggio che regala la sua esperienza riciclando esperienze antiche. Di sicuro riuscirà a soprendere e non per i risultati, che come è noto dipendono anche da classe dei singoli, momento di forma, potere politico e soprattutto fortuna. Fra Bilardo supervisore, più Brown e Ruggeri assistenti, qualcuno potrebbe pensare che l’Argentina targata Maradona c.t. si rifaccia a quella campione del mondo 1986, o almeno al modo in cui è passata alla storia: squadra bloccatissima, con una punta di medio livello, centrocampisti ordinati ma anche pronti all’inserimento ed un fenomeno libero di fare il fenomeno. Una squadra triste, in altre parole. Ci sembra uno scenario improbabile, vista la quantità di talento offensivo a disposizione del Diez, anche se in questo momento non lo sa nemmeno lui (o Salvatore Bagni, insieme ad Incocciati esegeta ufficiale del suo pensiero per l’Italia). Gli scontati Messi, Aguero, Tevez, il super-sottovalutato Milito e in fondo anche Palacio dovrebbero indurre ad un maggiore coraggio, ma non si sa mai. Certo è che pochi ricordano che in Messico l’Albiceleste partì con tutt’altre idee tattiche: con la Corea del Sud Maradona giocò dietro a Pasculli e Valdano, contro gli azzurri di Bearzot e la Bulgaria con Diego insieme a Claudio Borghi (!) ed ancora con il futuro idolo della sinistra giornalistico-calcistica italiana (che applica al Sudamerica le categorie dei nostri salotti: chiunque si opponga ad una dittatura, o comunque ad una visione militaresca del mondo, deve essere per forza un ‘compagno’). La musica non cambiò negli ottavi: il sofferto successo sul Paraguay arrivò per un gol di Pasculli, schierato a fianco di Valdano e Maradona, mentre solo nei quarti nella partita della schifosa Mano de Dios si vide il modulo passato alla (relativa) storia: difesa a cinque, Giusti, Enrique e Burruchaga in mezzo, Maradona dietro a Valdano. Addirittura nemmeno nella orrenda ma concreta nazionale di Italia Novanta le due punte furono abbandonate totalmente da Bilardo: nei quarti con la Jugoslavia e nella semifinale con l’Italia quel che restava di un Maradona eroico ed infiltrato giocò infatti con Calderon e Caniggia. Insomma, aspettiamo di essere stupiti: è il calcio, è Maradona.

stefano@indiscreto.it

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