Tennis

Se piove, rimandiamo

Stefano Olivari 05/09/2023

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Vivere alla Pietrangeli o alla Panatta? È la stessa cosa, anche se nessuno dei due lo ammetterà mai. Certo dopo aver letto Se piove, rimandiamo, l’autobiografia che Nicola Pietrangeli ha scritto con Paolo Rossi (inteso come giornalista di Repubblica), il rimpianto per il tennis e la vita degli anni Cinquanta e Sessanta supera quello per i decenni successivi. Perché nella realtà e nella testa di noi piccolo borghesi il tennis era lo sport dei ricchi, fino appunto a Panatta (e Borg, nel mondo) è stato così e chi lo nega è semplicemente troppo giovane.

Venendo al libro pubblicato da Sperling&Kupfer ed appena uscito, da lettori fanatici di tutto ciò che riguardi il tennis dobbiamo dire che è nettamente inferiore alla biografia scritta nel 2007 dall’amica Lea Pericoli, in forma di intervista a Pietrangeli: in C’era una volta il tennis, che peraltro già raccontava quasi tutti gli aneddoti di Se piove, rimandiamo, c’erano una leggerezza e un’ironia, dovuta anche alla complicità fra i due (mai stati insieme, a loro dire, ma è difficile crederci), che emozionano. Qui per meri motivi cronologici siamo al già visto e già sentito, con l’ironia oltretutto quasi scomparsa. Come se Agassi oggi si facesse scrivere Open 2.

Pietrangeli ce l’ha con chi sottovaluta il tennis prima dell’era Open (ma provate a togliere a un tabellone di uno Slam di oggi i primi 8 del mondo…), ce l’ha con tutte le federazioni prima di quella attuale, ce l’ha con il tennis moderno che è noioso, ce l’ha con Panatta che fu l’anima della congiura che nel 1978 portò alla sua sostituzione come capitano di Coppa Davis. Ovviamente con Panatta, figlio di Ascenzio, custode del Tennis Club Parioli (memorabile un numero del Grande Tennis, rivista divina, in cui lo definiva Ascenzietto), dove Pietrangeli giocava, i problemi sono sempre stati più profondi della Coppa Davis anche se poi nella sostanza hanno vissuto alla stessa maniera, beneficiari e vittime del loro stesso personaggio. Entrambi al limite delle proprie possibilità finanziarie, sia pure per motivi diversi, entrambi da uomini di mondo, con mille conoscenze che per certi aspetti valgono più dei soldi che nel loro caso sono andati e venuti più volte.

In Se piove, rimandiamo la parte più interessante, quella raramente toccata nelle mille interviste, è quella sul privato, a partire dal rapporto con i genitori e dall’infanzia in Africa. Fra le righe si avverte dolore, pur nell’assenza totale di autocritica. E del resto Pietrangeli ha sempre fatto Pietrangeli: se si allenava con la Lazio era al livello di Chinaglia, se si allenava con la Juventus Zoff diceva a Morini di azzopparlo perché era troppo forte, nei più famosi locali di Parigi era di casa, a Monte Carlo di fatto era uno della famiglia Grimaldi, eccetera. Come giustamente ha fatto notare Panatta, che peraltro ha lo stesso difetto, l’ego è smisurato.

Detto questo, il libro si legge con grande piacere e scioltezza e lo consigliamo, i 90 anni di Pietrangeli per essere raccontati in maniera completa avrebbero meritato mille pagine in più ma la sintesi è sempre apprezzabile. Il tennis di quei tempi è difficile da valutare, visto che non sempre i migliori competevano fra di loro, ma la vita del tennista era una vita, aveva un senso (pur nell’assenza di senso) anche al di fuori del campo. Pietrangeli, da numero 3 del mondo, viaggiava da solo e da solo si organizzava tutto: la differenza con chi ha l’allenatore, l’allenatore in seconda, il supercoach, lo psicologo, il fisioterapista, il preparatore atletico, la fidanzata, l’amico factotum, eccetera, non è soltanto nei soldi. Commovente il quasi testamento nel finale, senza retorica ma con il dispiacere per una vita che è volata.

stefano@indiscreto.net

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