Calcio

Scudetto della Sampdoria, fine del calcio

Stefano Olivari 21/05/2021

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Il trentennale dello scudetto della Sampdoria 1990-91 è stato giustamente celebrato da molti ed è difficile aggiungere qualcosa di originale su una squadra bellissima e cresciuta nel corso degli anni, attraverso delusioni e sconfitte. Come giustamente diceva Franco Casalini a proposito dell’Olimpia Milano di Peterson, e anche sua, nel libro E via… verso una nuova avventura!!! (prodotto da Indiscreto, ovviamente), le vittorie avevano più valore perché prima c’erano state molte sconfitte quasi sul traguardo.

Così andò per la Sampdoria di Boskov, arrivato alla Sampdoria da allenatore (c’era stata anche una breve parentesi da giocatore a inizio anni Sessanta) nel 1986, lo stesso anno di Pagliuca e Toninho Cerezo, sette anni dopo Paolo Mantovani, quattro anni dopo Mancini, tre dopo Vierchowod, due dopo Vialli, due prima di Dossena. Con lo scudetto della Sampdoria 1990-91 finì il periodo migliore nella storia del calcio italiano, i 9 anni che vanno dal Mondiale del 1982 alla stagione post Italia ’90.

In quelle nove stagioni, l’abbiamo già scritto molte volte ma non per questo la considerazione è meno valida, vinsero lo scudetto sette squadre diverse: due volte la Juventus di Platini e il Napoli di Maradona (ripetiamo, Platini e Maradona), una la Roma di Falcão, il Verona di Bagnoli, il Milan di Sacchi, l’Inter di Matthäus e appunto la Sampdoria. Il confronto con lo schifo dei successivi trent’anni è imbarazzante: schifo a livello culturale, perché quando è stato il loro turno i tifosi di Juventus, Inter e Milan hanno goduto e il biennio romano nell’era Geronzi cambia poco il ragionamento.

Per noi il calcio italiano è finito nel 1991. Poi ci sono state altre grandi squadre e altri campioni, certo: ma si è vinto solo in pochi posti. Perché i tifosi di Inter e Milan sono stati male per i nove scudetti di fila della Juventus, ma trovano in fondo giusto che a vincere possano essere soltanto tre squadre, perché ciclicamente tocca anche a loro. Non è che negli anni Ottanta trionfasse l’onestà, anzi era proprio il contrario in tutti i campi, ma semplicemente c’erano le condizioni economiche e culturali per accettare uno scudetto del Verona.

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