Economia

Ripple fra i primi dieci unicorni

Indiscreto 06/11/2025

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L’entrata di Ripple fra i primi dieci unicorni ci ispira questo post non sponsorizzato, come si può notare dall’assenza di link commerciali, ma per noi molto interessante perché siamo avidi lettori di tutto ciò che riguarda le criptovalute anche se poi in pratica crediamo soltanto nei Bitcoin, oltretutto (per quanto ci riguarda) in maniera mediata da un ETF. In sintesi, la notizia letta ovunque è che Ripple ha raggiunto una valutazione di 40 miliardi di dollari grazie alla recente iniezione di capitali da 500 milioni.

Un momento epocale per questa società fintech (parntesi: la parola fintech ci ricorda un po’ troppo l’inizio degli anni zero fra Giacomelli e Freedomland) specializzata in pagamenti digitali e criptovalute, con il suo token nativo XRP al centro di tutto.  Il nuovo round di finanziamento di fatto colloca Ripple al decimo posto mondiale per valutazione, con il nono che è della xAI di Musk. Ma come ha fatto Ripple ad arrivare così in lato? Di base questa azienda nata nel 2012 ha puntato sui trasferimenti internazionali di denaro, con l’obbiettivo iniziale (poi superato) di scavalcare le banche e il mondo SWIFT, utilizzando la blockchain. 

Come funziona Ripple? In parole povere il token XRP agisce come una valuta ponte: invece di convertire direttamente una valuta in un’altra, mettiamo dollari in yen, con ritardi e soprattutto commissioni, i fondi vengono convertiti in XRP, trasferiti istantaneamente sulla rete blockchain di Ripple e poi riconvertiti nella valuta di destinazione. Costi ridotti di almeno il 50%, a parità di importo, e disponibilità immediata senza i parcheggi su cui tante banche hanno campato fin dal Medio Evo. 

La cosa che personalmente ci colpisce di Ripple è che da un lato sostituisce le banche e dall’altro è loro partner, contento di esserlo perché le banche stesse le danno una patente di serietà. La rete di Ripple, chiamata RippleNet, collega infatti centinaia di istituzioni finanziarie in tutto il mondo, anche se spesso neppure i dipendenti delle banche stesse lo sanno. Non è quindi una blockchain in senso stretto, perché usa un protocollo di consenso che richiede l’approvazione di un gruppo di istituzioni cosiddette ‘serie’.

Poi nel corso degli anni Ripple ha lanciato la sua stablecoin agganciata al dollaro, tipo Tether, offrendo altri servizi che non stiamo qui a elencare. Anche qui al bar possiamo intuire la principale differenza con il Bitcoin, che fa delle decentralizzazione il suo cuore mentre Ripple è di fatto partner di banche e governi, il che non significa che l’XRP sia necessariamente più ‘sicuro’ ma soltanto che sia tollerato, vista la sua clientela corporate, e in molte situazioni quasi spinto da un sistema che vuole liberarsi di migliaia di elementi della inutile classe media. Come idea, qui nella periferia ovest, continuiamo a preferire l’upside e la scarsità programmata del Bitcoin.

stefano@indiscreto.net

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