Attualità

Quelli che comprano i giornali sportivi

Indiscreto 10/07/2018

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Ogni giorno acquistiamo con i nostri soldi le versioni cartacee di Corriere della Sera e Giornale, più quelle digitali dei tre quotidiani sportivi e del Sole 24 Ore: insomma, per sostenere l’editoria italiana il nostro lo facciamo e il dovere professionale c’entra poco. Senza stare a fare il pippone sull’odore della carta e cose simili, riteniamo che il mondo si comprenda meglio, per quell’1% che si può comprendere, selezionando invece che andando per accumulo come accade per la lettura sul web. Però se quasi ogni settimana vediamo un’edicola chiudere, restringendo la nostra indagine soltanto a strade in cui passiamo fisicamente, è perché si vendono sempre meno giornali e quindi abbiamo torto o magari siamo solo vecchi. Un calo che non è stato rallentato dalle mitiche copie digitali.

Veniamo al punto, dopo la lettura dei più recenti dati Ads, quelli di maggio 2018. Il primo quotidiano italiano rimane il Corriere della Sera, con 293.270 copie (fra cartacee e digitali) vendute al giorno, con Repubblica stabilmente seconda con 215.676. Rispetto al maggio precedente il Corsera perde l’11,15% delle copie (fa più impressione dire 36.804 acquirenti) mentre il principale concorrente limita i danni con un meno 2,5. La Gazzetta dello Sport perde il terzo posto, con un calo del 17,05% (meno 34.036 acquisti al giorno), a beneficio del Sole 24 Ore che pure è in calo, ma gli altri quotidiani sportivi non possono esultare perché il Corriere dello Sport è nono con 73.932 copie (meno 15,17%) e Tuttosport tredicesimo con 49.672 (meno 16,36%). Per tutti gli altri dati rimandiamo al sito di Prima Comunicazione, noi siamo interessati soprattutto allo sport.

Molto significativo è che il calo percentuale dei tre quotidiani sportivi sia simile, praticamente uguale. Non è quindi questione di vittoria di questa o quella squadra, come gli ‘esperti’ sostengono senza un contraddittorio, anche se i record di tiratura vengono stabiliti quando le grandi vincono o annunciano un acquisto importante. Non è nemmeno questione di qualità, spesso facciamo ricerche su giornali di una trentina di anni fa notando un linguaggio imbarazzante: al netto della nostalgia per alcuni fuoriclasse è meglio oggi, davvero. In altre parole, i lettori persi da A non vengono intercettati da B e viceversa, diversamente da quanto accade per la televisione o lo stesso web: si cambia canale, si cambia sito, ma lo stare davanti alla televisione o al computer è mediamente qualcosa che prescinde dai contenuti e dipende più dalla tristezza delle nostre vite che da scelte consapevoli. I lettori persi dai giornali sono lettori persi per sempre e siccome non è che nell’ultimo anno sia morto il 15% della popolazione è chiaro che la maggior parte di questi abbandoni avvengono per scelta.

Lo sport è intrattenimento, nelle migliore delle ipotesi cultura, ma il calo non è dovuto alla sua scarsa utilità nella vita pratica: vanno male anche i giornali finanziari e quelli locali, quelli teoricamente più vicini ai bisogni della gente (e non sappiamo da cosa vengano sostituiti, visto che siti web e televisioni locali fanno mediamente schifo). Siccome la spesa delle famiglie italiane per consumi è su base annua in aumento (più 1,7%, secondo l’Istat), è evidente che non è nemmeno un problema di soldi anche se molto spesso sentiamo discorsi sul grande peso di questo euro e cinquanta da parte di gente che poi spende senza problemi 5 euro per un bicchiere di birra o 10 per una margherita, senza protestare per i 3 euro di coperto. I numeri sono chiari, le risposte sono basate soltanto su sensazioni: la nostra è che la apparente gratuità del web italiano fin dalle sue origini, con tardiva corsa ai ripari di alcuni giornali che hanno protetto qualche sezione, ha tolto valore al web stesso (i tanti fallimenti pay lo dimostrano) ma anche alla carta. Non è quindi colpa del web cattivo, ma di cattive scelte fatte due decenni fa dai leader dell’informazione.

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