Basket

Però la maglietta non è la più venduta

Stefano Olivari 22/06/2012

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LeBron James non è più un perdente di successo, adesso che al nono anno di NBA ha conquistato il suo primo anello. Potrà così dedicarsi con calma all’inseguimento del platonico titolo di best ever senza lo stress di essere paragonato al Robert Horry di turno, quando non direttamente a MJ. Chi ritiene Charles Barkley e John Stockton (zero tituli) meno importanti di Horace Grant e Kurt Rambis (quattro) nella storia del gioco adesso sarà soddisfatto. Garacinque della Finals è stata a senso unico, anche nelle fasi in cui i Thunder si sono riavvicinati nel punteggio la differenza di intensità e di cattiveria era evidente. Siccome immaginiamo che Durant e Westbrook ci tenessero quanto LBJ e Wade, è probabile che nella distribuzione delle forze qualcosa sia stato sbagliato e che solo la nettezza delle vittorie contro Mavs, Lakers e tutto sommato anche contro gli Spurs abbia mascherato un calo fisico che nel finale della stagione regolare, con le tre sconfitte consecutive di inizio aprile (una con gli Heat, fra l’altro) era evidentissimo. Inutile analizzare una partita che tutti gli interessati hanno visto, con i Big Three di Miami a festeggiare a bordocampo già a tre minuti dalla fine, la tripla doppia di James condita dal premio di Mvp della Finals, varie altre statistiche oltre il maniacale (la più interessante: LBJ è il quinto della storia a mettere una tripla doppia in una gara che assegna il titolo, dopo Magic, Bird, Worthy e Duncan). La chiave tattica è stata una sola: nell’area dei Thunder si è entrati con una certa facilità, rapportata al potere teorico di intimidazione dei loro lunghi, così il pessimo gioco d’attacco degli Heat si è equilibrato da solo, con i fenomeni ad attaccare il canestro e i Battier-Chalmers-Miller del momento a tirare sui loro scarichi. Nonostante questa sega mentale tattica, la condizione fisica in calo, la scomparsa di Harden nelle fasi decisive e tutto il resto, OKC avrebbe però potuto lo stesso portare a casa girando qualche vite quattro e non una delle cinque partite disputate. Facile dire che il futuro è di Durant e compagni e che si riparte da qui, ma adesso è il momento di LeBron James. L’oro olimpico l’ha già vinto, da protagonista non solo mediatico ma anche tattico (nell’attacco alle zone il post alto era sempre suo), a Londra raddoppierà e adesso gli manca solo la statistica di maglietta più venduta. Nella stagione 2011-12 è, in questo senso, arrivato dietro a Derrick Rose negli Usa e a Kobe Bryant nel resto del mondo. Ormai l’ultima frontiera degli haters è solo commerciale.

Stefano Olivari, 22 giugno 2012

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