Economia

Panetterie chiuse

Indiscreto 29/04/2025

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Stamattina la panettiera dalla quale nostra madre va quasi tutti i giorni, e noi ogni tanto, ci ha comunicato che oggi è l’ultimo giorno di vita di un negozio che con varie gestioni ci ricordiamo essere lì, davanti alla scuola primaria Cabrini di via Forze Armate (periferia Ovest di Milano, ça va sans dire), da almeno mezzo secolo. Il motivo non è un complotto internazionale, ma la diminuzione del numero dei clienti, che il pane lo comprano al supermercato (per quanto schifoso sia il pane del supermercato, tranne quello onestamente industriale tipo il Pan Bauletto del Mulino Bianco) e i dolci in pasticceria. Quanta alla gastronomia e ai piatti pronti, che facevano nolto bene, la zona non è ricettiva avendo pochi fuoricorso fuorisede e pochi single in carriera. Notevole è anche il fatto che degli oltre 600 bambini che passano di lì ogni mattina, fra scuola dell’infanzia, primaria, ed ebraica (la camionetta dell’Esercito lì davanti non mente) in pochissimi comprino la focaccia, che invece ai nostri tempi compravamo TUTTI. Siccome molti di loro sono obesi è chiaro che le merendine se le portano da casa.

E dopo il preambolo sui fatti nostri ecco l’analisi socioeconomica sulla desertificazione commerciale, scontata perché imposta dai numeri. Abbiamo letto sul Sole 24 Ore che in 10 anni, fra il 2014 e il 2024, in Italia sono scomparse 140.000 imprese di commercio al dettaglio, di cui 46.500 statisticamente considerate ‘di vicinato’, quindi edicole, bar, eccetera. Quanto alle panetterie, sono diminuite di circa il 20%. Se nelle città basta camminare un po’ e qualcosa di trova sempre, nei piccoli comuni la cosa sta diventano un problema per i vecchi, poco dentro al mondo di Amazon (al di là del fatto che Amazon non arrivi dappertutto), e anche per la vita in generale. Una zona in cui la gente va solo per dormire, o comunque per stare chiusa in casa, è una zona morta. E ovviamente un commerciante non può lavorare in perdita: se la gente non spende lui chiude, andando a fare il dipendente, il disoccupato, l’influencer o il falso invalido.

Come al solito tutti abbiamo diverse parti in commedia: ci lamentiamo se nostro figlio guadagna 1000 euro al mese ma poi gli compriamo una maglietta fatta da operai che al mese ne guadagnano 200, scriviamo articoli intensi sulle belle librerie di una volta e poi leggiamo su Kindle, piangiamo la scomparsa della nostra panetteria e poi compriamo sassi scongelati messi nel cellophane. Meglio adesso o meglio una volta? Meglio adesso, per chi si percepisce soltanto come consumatore. Ma nell’Italia iper-regolamentata arrivata fino all’inizio degli anni Novanta (esempio odierno la Svizzera, dove i negozi aperti la domenica e dopo le 18:30 sono rarissimi) ricordiamo impiegati, operai e piccoli commercianti che mantenevano in scioltezza famiglie di quattro o cinque persone. Siamo sempre più convinti che la prossima (che in Italia peraltro sarebbe la prima) rivoluzione arriverà dalla piccola borghesia, almeno da quella che non ha nemmeno il bilocale della nonna.

stefano@indiscreto.net

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