Attualità

Monetizzando l’Indesit

Stefano Olivari 11/07/2014

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E così anche l’Indesit se ne è andata dall’Italia, da un paese dove fra pochi anni rimarranno solo impiegati statali, disoccupati, partite Iva miserabili, compro oro e organizzatori di eventi. Se ne è andata la proprietà, passata dai Merloni alla Whirlpool, anche se non (ancora) la produzione e il lavoro. L’azienda americana, che fra i suoi marchi ha fra l’altro anche Ignis (proprio quella del commendator Borghi, recentemente santificato su Rai Uno), per la maggioranza del pacchetto azionario ha speso 758 milioni di euro e altri ne dovrà mettere in campo per l’OPA obbligatoria sul resto delle quote. Per il solito temino sull’Italia dove non lavora più nessuno (tantomeno i figli degli industriali fondatori, che vendono appena possibile per occuparsi di storia dell’oboe o aprire un chiringuito a Mykonos) non abbiamo però bisogno della notizia del giorno: siamo cresciuti a 150 metri in linea d’aria dallo stabilimento della Durban’s (celebre il Carosello con Carlo Dapporto, che ricordiamo noi ormai in zona pannolone), con l’odore di dentifricio che prendeva tutta la zona e la sirena di fine turno che suonava ogni giorno alle diciassette (sembra un documentario di RaiTre, ma fino a metà anni Ottanta la situazione era questa), mentre adesso al posto di quella fabbrica c’è un condominio orrendo, con il tocco dell’architetto progressista di lasciare una ciminiera come citazione della civiltà industriale. Sembra una parodia di La carta e il territorio di Houellebecq, peraltro già di suo una parodia di tutti quegli europei che vogliono trasformare l’Europa in un museo. Cosa vogliamo dire? Che nessuna legge al mondo, nessun dazio (passi per i coreani, ma con gli elettrodomestici tedeschi?), nessun governo potrà imporre ad un popolo di lavorare se questo in larga parte non ne ha voglia. Solo quando si inizierà a morire di fame, dopo avere rinunciato a una settimana di vacanza o al motorino, forse cambierà qualcosa. Forse. Ma non è un problema di Vittorio Merloni, degno ex presidente di Confindustria (del resto lo sono stati anche Agnelli e Montezemolo, per il dopo-Squinzi vedremmo bene Moratti), semmai lo è dei suoi ex operai e dei loro figli laureati in scienze della comunicazione.

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