Basket

Lo stile di Albert Spaggiari

Fabrizio Provera 13/04/2012

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di Fabrizio Provera
Come facevamo da piccoli, immaginiamo di essere Jim Brewer… Forse sarà colpa del fatto che sono nato nella contea di Cook, a Maywood, Illinois, periferia urbana di Chicago, dove d’inverno fa molto freddo, ma non riesco a capire come la vostra televisione di Stato – regno una volta di Aldo Giordani – abbia potuto preferire una partita di hockey tra Bolzano e Valpusteria, località peraltro molto gradevoli che visitai durante gli anni italiani, allo straordinario incontro della mia Cantù contro la Montepaschi Siena. Freddo contro caldo, passione contro disinteresse, coraggio contro scelta mal ponderata e mal calcolata. Possiamo starci a ragionare per ore, ma è oggettivo – come diceva un professore di lettere, alla mia Provasio High School, circa l’idea di Bellezza di Dante e della Commedia – che sia stato un errore madornale. Io c’ero ieri sera, in un palazzo traboccante di gloria sportiva, non di archeologia del cesto come hanno voluto sfotterci i tifosi di Siena, poco rispettosi non solo della nostra di storia, ma anche della loro (sono oppure no banca dal 1472? Dipendono oppure no, le loro fortune, da una banca creata cinque secoli e mezzo fa?). Ieri ho visto dei pirati biancoblu trasformarsi in corsari giganti. Ho visto Marty Leunen, il ragazzo dell’Oregon, piegarsi addolorato su una caviglia e rialzarsi senza dire bah, salvo poi menar botte e incrociare spade (e muscoli acciaccati) con Lavrinovic, dopo neanche 30 secondi. Ho visto uno dei pochi playmaker di serie A che non raggiungono l’1.85 arpionare 11 rimbalzi, alcuni sopra il ferro, a un anno dal giorno in cui si frantumò un menisco. Ho visto Gianluca Basile balbettante per l’emozione nel dopo partita. Ho visto anche una grande Siena, che seppure malata e incerottata offre sempre grandi scampoli di pallacanestro. Ho visto un Andersen che danza leggiadro attorno all’area con eleganza e leggerezza, mischiate a tiri mortiferi che lacerano gli spazi difensivi. Spiace solo aver visto anche uno Stonerook poco rispettoso della sua storia di passato cantuckyano: chissà che dolore per Roberto Allievi e la sua mamma, che erano seduti a pochi metri dal luogo della sua inderocosa lagnanza. Ho visto i pirati di Andrea Trinchieri, che sono certo abbia visto e rivisto Colpo Vincente del grande Gene Hackman, l’interprete del Norman Dale coach di Hickory, la scuola dell’Indiana profondamente rurale degli anni Cinquanta che vince il titolo nazionale al cospetto di giganti neri e forzuti, loro figli bianchi della campagna povera. Colpo Vincente, il film nel quale l’autista del pullman diventa tale per volontà di Dio, un Jake o Elwood Blues ante litteram. 
Trinchieri azzecca ancora una volta la metafora e l’evocazione: e allora, alla vigilia del derby con la Milano della fashion star, gli suggeriamo di fare come i ragazzi di Albert Spaggiari, il soldato volontario e il militante dell’Organisation Armée Secrète, movimento politico di estrema destra che negli anni Cinquanta e Sessanta si schierava contro l’indipendenza dell’Algeria. Spaggiari, disgustato del fatto che la sua Nazione avesse abbandonato i soldati di ventura che lottarono per la Francia, benché la Francia stessa li avesse consegnati ad un amaro destino, decise di riprendersi quanto gli spettava. Allora, lavorando per giorni e giorni tra le fogne e il sottosuolo, mette a segno nel luglio 1976 la grande rapina di Nizza. Il bottino supera i cento milioni di franchi dell’epoca, cifra che fa definire questo colpo come la grande rapina di Nizza (o anche come la rapina del secolo). Viene arrestato il 27 ottobre 1976, ma riesce ad evadere in maniera rocambolesca grazie alla segnalazione di alcuni complici, che da una moto gli suggeriscono la via di fuga impiegata durante l’interrogatorio. Da allora sfugge alla Polizia di tutto il mondo per 23 anni. Su una spiaggia di Rio De Janeiro, dove si accoppiava con una bionda bellissima, incrocia lo sguardo e la croce celtica di Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, deputato del Msi, barone e bon vivant del giro di Gigi Rizzi. Complice la birra ghiacciata e la picanha, la donna che all’epoca accompagnava Staiti (di nazionalità francese) lo riconosce: Tom, quello è Albert Spaggiari. Perché l’hai fatto? Per riscattare il nostro onore e ripagare le famiglie delle vittime, mi sono tenuto l’indispensabile per non farmi mai catturare. Ho capito, avrei fatto lo stesso. Anche i miei sogni di gioventù sono stati traditi. Tanti anni dopo, nel 1989, il Corriere della Sera pubblica il necrologio in morte di Albert Spaggiari. E’ firmato Sagittario Tom, ossia Tomaso Staiti di Cuddia. Nessuna Procura della Repubblica al mondo, tra tutte quelle che cercavano Spaggiari, l’ha mai saputo. Ve lo rivelano Jim Brewer e Indiscreto. Che esortano i pirati di Cantù ad andare al Forum, domenica sera, lasciando sulle mura di Assago la stessa scritta che i poliziotti e i banchieri di Nizza trovarono sulle mura del caveau fresco di rapina, nel luglio del 1976: “Senza odio, senza armi, senza violenza”.

Jim Brewer, ma anche Fabrizio Provera (13 aprile 2012)

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