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Lo stile della Jugoslavia

Stefano Olivari 06/07/2021

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La Serbia è la vera erede spirituale della ex Jugoslavia. Del resto croati e sloveni hanno trent’anni fa vissuto la secessione dalla Jugoslavia come una separazione dalla Serbia che occupava gran parte dei posti chiave nell’amministrazione pubblica e nell’esercito, al di là delle questioni etnico-storiche che vengono ignorate soltanto dagli struzzi. Ma noi essendo italiani ci limitiamo a godere del successo della nazionale di Sacchetti a Belgrado sulla Serbia, come se fosse arrivato contro la migliore Jugoslavia, quella di Petrovic-Divac-Kukoc o quella di Cosic-Delibasic-Dalipagic.

E invece, senza Jokic e Bogdanovic, non era nemmeno la migliore Serbia, come del resto erano incompleti anche gli azzurri con l’assenza giustificata di Gallinari, quella senza senso (vista l’operazione messa in atto per passaportarlo e visto che per uno di cultura statunitense nazionale significa solo Olimpiadi) di Banchero e quelle non dannose, viste le loro recenti versioni, di Belinelli e Datome. Così Petrucci-Borlotti ha dovuto subire, fa impressione dirlo, la qualificazione olimpica di Sacchetti e dovrà rimandare il secondo ritorno in Nazionale di Messina, magari anche solo come supervisore, che così potrà continuare a non costruire niente all’Olimpia Milano (ci sembra che una delle squadre migliori d’Europa sia stata smantellata senza necessità finanziarie, il caso LeDay è emblematico).

Ma cosa volevamo dire? Lo diciamo nelle poche righe finali: decenni di prese in giro prima jugoslave e poi serbe, con finali da circo, non valgono qualche asciugamano (giustamente, è l’ABC del fare squadra) agitato da Abass e Spissu. Kokoskov, una vita da assistente di alto livello prima di vincere qualcosa grazie a Doncic, è abbastanza anziano per ricordare lo stile jugoslavo, che poi è lo stesso del rifiuto della mano a Sacchetti, con giusto vaffanculo dell’allenatore italiano (in attesa di pronunciarne un altro fra un mese). Non è che da una parte i festeggiamenti siano parte integrante della cultura e dall’altra una provocazione.

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