Calcio

L’Italia di João Pedro

Stefano Olivari 23/11/2021

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João Pedro è per l’Italia la differenza fra non andare al Mondiale e andarci? A prescindere dalla risposta, la domanda è comunque triste perché significa che l’Italia negli ultimi dieci anni non ha prodotto prime punte decenti, a parte i vituperati Immobile e Balotelli, senza sottilizzare sulle differenti caratteristiche di João Pedro. La vera tristezza però risiede nelle modalità con cui la FIGC sta portando avanti il progetto, con quel silenzio tipico di chi un po’ si vergogna di ciò che sta facendo. Evidentemente con l’approvazione di Mancini, bisogna dirlo.

Dal punto di vista del regolamento il quasi trentenne brasiliano (…) del Cagliari è a posto. Non ha mai giocato per il Brasile inteso come nazionale maggiore, ha anche il passaporto italiano per matrimonio e per essere italiano anche dal punto calcistico basterà una richiesta formale fatta alla federazione: in pratica la FIGC, con la firma di João Pedro, chiederà a sé stessa l’autorizzazione a schierare João Pedro in Nazionale. Che poi questa naturalizzazione serva, perché magari come rincalzo a fine marzo Belotti sarà in condizioni decenti, è un altro discorso. Non si può dire che Jorginho ed Emerson Palmieri siano stati inutili nella conquista di Euro 2020…

Il problema è sempre quello: la Nazionale non è un club, a prescindere dai trofei alzati, e l’Italia ne ha da poco alzato uno importante, ma rappresenta il movimento calcistico di un paese (poi noi vorremmo almeno sei napoletani fra i titolari del Napoli, sei bergamaschi fra quelli dell’Atalanta, eccetera…) e quella che una volta in maniera retorica si definiva ‘scuola’. L’Italia non ha alcun merito nella creazione del calciatore João Pedro, così come per Jorginho e Emerson Palmieri, quindi non dovrebbe poter beneficiare delle sue prestazioni.

Dire ‘Lo fanno anche altri’ non ha senso, è come dire che rubiamo perché esistono molti ladri. Ma la direzione è purtroppo ormai questa e non sembra lontano il momento in cui il calcio oltre agli oriundi, più o meno fasulli, avrà come nel rugby, e di fatto anche nel basket, gli equiparati. Di sicuro non si può legare ad un risultato sportivo da ottenere a tutti i costi la ragione d’essere di una nazionale. E poi magari finirà come con Amauri,  fra l’altro onesto nel dire che potendo scegliere avrebbe sempre scelto il Brasile.

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