Bocconi di Drive In

16 Maggio 2014 di Stefano Olivari

Sergio Vastano Stefano Olivari

Antonio Ricci deve essere arrivato alla milionesima intervista, ma ascoltarlo non dà mai la sensazione del già sentito. Anche quando ciò che dice l’hai già sentito davvero… Ultimamente il creatore di Drive In, di Striscia la notizia e di tante altre trasmissioni viene spesso sollecitato sull’argomento Grillo, con il quale (come autore) a fine anni Settanta-inizio Ottanta arrivò al grande successo in una memorabile edizione di Fantastico (1979), in Te la do io l’America e Te lo do io il Brasile. Incontriamo Ricci in un posto improbabile sia per lui che per noi, che pure l’abbiamo frequentato quasi 30 anni fa: l‘Università Bocconi, che ha organizzato un incontro dal titolo non certo criptico: ‘La Milano degli anni Ottanta e il bocconiano di Drive In’. Grazie all’amico Andrea Ferrari (sua l’eccellente foto a corredo dell’articolo), che legge le brevi del Corriere della Sera (fra poco bisognerà andare lì per trovare notizie su Bazoli), lo siamo venuti a sapere e mollare a metà giornata tutte le nostre squallide attività è stato un enorme piacere. Coordinato dal professor Severino Salvemini, ex pro-rettore della Bocconi stessa, all’incontro oltre a Ricci hanno partecipato Philippe Daverio, Myriam De Cesco (che negli anni d’oro del mondo, o perlomeno nostri, dirigeva Capital), Antonella Carù (all’epoca studentessa, oggi docente) e il leggendario Sergio Vastano, che a Drive In impersonava lo studente calabrese (lui in realtà è romano) di buona famiglia, con il mito di Luca Cordero di Montezemolo (LCDM anche in Italian Fast Food, indimenticato film che interpretò insieme alla tuttora tonica Susanna Messaggio) e che il 18 agli esami lo rifiutava sempre (le rare volte in cui ci arrivava, visto che mai aveva i libri in mano).

Due ore davvero entusiasmanti, in purissimo stile anni Ottanta: nessuna nostalgia (il 90% dei presenti nell’Aula Magna del resto era composto da studenti, teorici figli dei bocconiani di allora) e un’analisi non banale di un decennio, fra economia e comunicazione. Salvemini, classe 1950 e quindi adolescente in ben altri anni, ha giustamente ricordato che quella generazione viveva nel mito del lavoro che sarebbe arrivato di sicuro una volta uscita dall’università (a maggior ragione dalla Bocconi) e che quindi non aveva grandi preoccupazioni per il presente. Atteggiamento figlio anche di un’economia in parte finta, drogata da un deficit voluto da una classe politica molto più cialtrona di quella odierna (basta confrontare l’avanzo primario, aggiungiamo noi), ma non divaghiamo. Il professore di organizzazione aziendale ha anche fatto un paragone fra quella generazione e quella di chi negli anni Ottanta è nato, i trentenni di oggi: considerati, a parità di crisi economica e di mancanza di opportunità, molto più preparati e competitivi. Difficile dargli torto, ci consideriamo fortunati ad essere nati quando siamo nati: è vero che fino a 90 anni dovremo mantenere finte guardie forestali, falsi invalidi e veri baby pensionati, ma non abbiamo mai conosciuto la disoccupazione e fra poco non ce ne importerà più nemmeno del rischio.

Daverio, fra le mille cose ex assessore alla cultura del Comune di Milano, da ex studente della Bocconi ha osservato che la caricatura del bocconiano non corrisponde alla realtà, come del resto tutte le caricature, ma che è indicativa delle aspirazioni di un decennio e forse ancora di oggi. La Bocconi elitaria degli anni Sessanta era ben diversa da quella americanizzata degli Ottanta (ricordiamo che alla prima lezione di economia aziendale il professore esordi così: “Voi siete la classe dirigente del futuro”), ma un filo conduttore comunque c’è. Il ventennio del trash, secondo Daverio, è stato quello dal ’94 ad oggi e non comprende di certo quell’era di opportunità. La De Cesco ha ricordato che Der Spiegel mandò un inviato in Italia a farle un’intervista, perché dopo gli anni di piombo non credeva possibile l’esistenza in Italia di un giornale che aveva come slogan “Raccontare i ricchi per capire l’Italia”. Nel doppio ruolo di studentessa e prof, Carù ha ricordato ha ben fotografato una tipologia di bocconiano dell’epoca, ben oltre la caricatura di Vastano: ragazzi in giacca e cravatta (non la maggioranza, ma comunque tanti), con la valigetta rigida, il Sole 24 ore e dentro, ben nascosta la Gazzetta. C’era davvero gente così, forse c’è ancora.

Dopo la proiezione di alcune gag irresistibili del Vastano di Drive In (quando diceva di andare al Nepentha a ballare sulla musica di Sade ci siamo piegati in due, pur conoscendo le battute a memoria), parola a Ricci. Che è andato a ruota libera su mille argomenti. Su Mario Monti: “La manganellata all’immagine della Bocconi non l’ha data Vastano, l’ha data lui”. Su Berlusconi: “Non aveva idea di cosa trasmettere su Italia Uno, il suo progetto era quello di una Super-Rai con i tre canali e tutto il resto. Una tivù conservatrice, basata su personaggi noti, i cui spazi pubblicitari si sarebbero venduti benissimo. Nella sua testa c’era il varietà classico: Franco e Ciccio, Ric e Gian, queste cose qui”. Su Drive In: “Venivo da 3 edizioni di Fantastico di grande successo e dal lavoro con Grillo, Berlusconi mi conosceva perché ero stato autore del primo vero varietà di Canale Cinque, quello condotto da Loretta Goggi. Nei primi anni Ottanta si diceva che Berlusconi sarebbe fallito in pochi mesi… Alla fine accettò la proposta di Drive In, pur di tenermi a lavorare su altri progetti. Fra questi una serie di monologhi per Ornella Muti…”. Sul successo: “Fu subito grandissimo, ce ne accorgevamo dalla popolarità degli attori quando giravano per la strada. Ma Berlusconi continuava a credere nel varietà, tanto è vero che volle creare una sorta di Drive In di lusso prendendoci il regista, Nicotra, oltre a Carmen Russo e Cristina Moffa. La trasmissione si chiamava Grand Hotel”. Sull’ideologia: “Drive In interpretava lo spirito del tempo e fa ridere quando sento oggi sdottorare sui suoi effetti nefasti. Sveva Casati Modignani ha di recente sostenuto che Drive In ha posto le radici del femmincidio… Non a caso lo ha detto da Floris, con Riotta che le ha fatto i complimenti. Ecco, quando Riotta le ha fatto i complimenti mi sono reso conto di avere ragione. Drive In nasceva dalla mia paura per l’America e per la sua influenza su di noi, su persone in gran parte prive di filtri culturali. Non a caso tutto era esagerato”. Sulla sinistra: “Drive In era scritto da tanti autori di sinistra. A Berlusconi avevo proposto di lottizzare culturalmente una delle sue reti, appaltandola proprio a gente di sinistra. Insomma gli avevo suggerito di fare RaiTre prima che nascesse la RaiTre di Guglielmi, Curzi, eccetera. Se mi avesse dato retta, tanti problemi giudiziari se li sarebbe evitati”. Sui critici televisivi: “Non guardano la televisione, il loro problema è quello. Hanno solo una serie di personaggi di cui parlare bene e altri di cui parlare male. Se guardassero la televisione non continuerebbero a definire Carlo Conti ‘L’abbronzatissimo Carlo Conti’ adesso che non si fa più le lampade”. Su Montezemolo: “Lo avevamo scelto come mito del bocconiano ed in generale di una certa Italia, adesso si è un po’ ripulito l’immagine ma era il Briatore dell’epoca. Un’icona, creata non dalle sue realizzazioni ma da tutto quello che si diceva su di lui. Dalla leggenda che fosse figlio di Agnelli ai soldi, lo ha raccontato Romiti, che prendeva per far conoscere l’Avvocato ai suoi ammiratori. Soldi che venivano messi in mezzo a una copia di un libro di Enzo Biagi. Un dettaglio che ho sempre trovato meraviglioso”.

Se Ricci ha spiegato l’Italia degli anni Ottanta e quella di oggi, Daverio ha spiegato quella eterna: “Dal Concilio di Trento ad oggi in questo paese nulla è cambiato, come mentalità di fondo e valori. In pratica è stato detto ai fedeli e ai cittadini di non leggere, né la Bibbia né altro. Da questo dipende la differenza fra  l’italiano medio e il tedesco medio. La televisione ha solo fotografato questa situazione”. Conclusione? Nostra, non dei prestigiosi relatori. Non possiamo dare a un decennio o ad alcune persone colpe che sono dell’Italia profonda, pronta a rielaborare in chiave familistica e conservatrice anche situazioni apparentemente moderne. Esiste un qualcosa di immutabile, nel carattere nazionale (per questo l’Italia è una nazione più unita di altre, nel bene e nel male), che ci soffocava allora e ci uccide adesso. Ricci l’aveva detto, che la risposta non erano le ragazze bomber, i venditori di croste e in generale un’America da frustrati. Non è stato ascoltato, ma almeno ci siamo divertiti.

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