Basket

Lakers e LeBron campioni dell’antibasket

Indiscreto 12/10/2020

article-post

I Lakers hanno vinto il diciassettesimo titolo NBA della loro storia, il dodicesimo da quando si sono trasferiti da Minneapolis a Los Angeles (come Brandon e Brenda Walsh, per i sempre più numerosi nostalgici dei Novanta), battendo 106-93 i Miami Heat in gara 6 delle Finals, chiudendo alla grande playoff che sono stati comunque di altissima intensità e bellezza, nonostante l’assenza del pubblico. La bolla Disney ha strafunzionato, anche in senso sanitario.

MVP delle NBA Finals è stato nominato LeBron James, prima stella nella storia della lega a vincere da protagonista titoli con tre squadre diverse: gli Heat, i suoi Cleveland Cavaliers e appunto i Lakers, squadra costruita onestamente intorno lui e ad Anthony Davis, trascinatori di un manipolo di comprimari di lusso. Una squadra con uno staff tecnico di primo livello, da Vogel agli assistenti, fra i quali gente del carisma di Jason Kidd e Lionel Hollins, ma che ha giocato una pallacanestro da NBA deteriore.

Del resto già nell’estate 2019 Vogel dichiarava che i suoi Lakers avrebbero avuto come filosofia quella di isolare in attacco LeBron e Davis, per fargli giocare uno contro uno con spazio e tenere larghi i gregari, al di là delle scelte contingenti, small ball (la migliore) o la versione con Howard. Scelta intelligente, anche per farsi assumere e mantenere il posto, ma qualità di gioco lontanissima da Heat, Raptors e Celtics (quella fra Toronto e Boston la serie più bella del 2020, con garasei da lacrime).

È ovvio che l’uomo copertina sia LeBron James, beneficiario di un metro arbitrale folle nonostante tutta la tecnologia a disposizione. È uno dei tanti campioni della lega che sarebbero penalizzati da un arbitraggio tecnico, o almeno rispettoso dello spirito del gioco: non c’è bisogno di troppi replay per confrontare la pulizia di Jimmy Butler con le sue partenze in palleggio, i suoi passettini per creare separazione da step back, il suo farsi largo a spallate da culturista con arbitri che ingoiano il fischietto perché James conta piedi Adam Silver. In questo senso è davvero paragonabile a Michael Jordan: vale un po’ meno dal punto di vista commerciale, ma di più da quello politico. E su quello sportivo la discussione sul GOAT è aperta: forse James non ci emoziona perché l’abbiamo visto per la prima volta a 35 anni (nostri) mentre Jordan a 15, bisogna dirlo.

Potrebbe interessarti anche

  • preview

    De Giorgi senza alibi

    Oscar Eleni appena liberato dal tetro castello dei Corvino in Romania, felice di poter andare dove sorge il sole. Viaggio a Levante fermandosi nel parco dove comandano le scimmie della neve. Giardini giapponesi collegati via cavo col mondo per  guardare la vittoria dei pallavolisti di Fefè De Giorgi a cui personalmente dobbiamo la salvezza dopo […]

  • preview

    Grande Oriente

    Oscar Eleni al teatro Kabuki di Tokyo fingendo di stare bene per poter evadere dai domiciliari imposti dall’età, dai dolori, dalla noia di sentirsi inutili. Fuga consigliata dal veterinario per festeggiare un caro collega, il Davide Pisoni, che inizia un percorso inverso rispetto a quello di chi vi scrive chiedendo perdono. Nel 1974 lasciammo la […]

  • preview

    L’ora dei saluti

    Oscar Eleni in fuga dal polline delle case di Lambrate dove è cresciuto l’ingegnere Iliass Aouani, mezzofondista nato alla Riccardi e ora Fiamma Azzurra, bronzo meraviglioso nella maratona mondiale finita incredibilmente al  fotofinish dopo 42 chilometri e 195 metri infernali, fra pannoloni inumiditi dall’età e dal tempo con il tedesco Petros “beffato” dal tanzaniano Simbu, […]