Cinema
La musica di Asia Argento
Simone Sacco 05/10/2021
Il 2021 non è stato un anno qualunque per Asia Argento. Prima l’uscita della sua esplicita autobiografia Anatomia di un Cuore Selvaggio, tradotta recentemente anche in Francia, e poi gli ultimi ritocchi a quello che, questo novembre, sarà il suo secondo album solista. Il primo dal 2013. Intitolato Music From My Bed e nato da un periodo forzato cominciato ancor prima che il mondo precipitasse nella pandemia, il disco in questione (anticipato dal singolo I’m Broken) è stato una specie di ritorno creativo per colei che, negli anni scorsi, ha passato più tempo a denunciare e a difendersi che a concretizzare arte. «Il libro sulla mia vita – spiega Asia – è nato subito dopo la lavorazione del disco. È venuto fuori di getto, senza compromessi, quasi come se i testi di ‘Music From My Bed’ mi avessero sbloccato e fosse tornato in me questo enorme bisogno di scrivere e raccontarmi». Come ha fatto anche con Indiscreto in questa lunga intervista realizzata nella maniera meno ingannevole possibile. E senza mai perdere di vista una donna che, dai lontani anni Ottanta, ha sempre portato avanti orgogliosamente la tradizione di famiglia.
Partiamo da quell’abbraccio dello scorso luglio. Non il famoso scambio d’affetto tra Mancini e Vialli sul prato di Wembley, ma quello tra te e tuo padre che ha contraddistinto la proiezione di Vortex al Festival di Cannes…
Si è trattato di un gesto spontaneo e primordiale. Mi è spiaciuto che qualche giornalista abbia parlato di ‘riconciliazione’ con mio papà perché queste persone non sanno davvero nulla di me e di lui. Ok, nella mia autobiografia ‘Anatomia di un Cuore Selvaggio’, ho parlato della sua ‘non presenza’ quand’ero bambina. Di quanto stesse lontano da casa per lavorare ai suoi film e di quanto io ci abbia sofferto, ma sono anche passati 40 anni, no? (sbuffa, ndr). Dammi retta se ti dico che ho agito tanto su me stessa per lasciarmi alle spalle certi pensieri primitivi che facevo da giovane…
A proposito: strepitosa la performance di Dario Argento nello stesso Vortex dove recita da attore protagonista. Parlando un francese sporcato sapientemente dal suo accento capitolino.
Vuoi la verità? Sarà pure il giudizio di sua figlia, ma mi ha semplicemente commosso. Speriamo che si troveranno delle copie non doppiate quando il film di Gaspar Noè verrà distribuito nel nostro Paese. Anche se resto scettica a riguardo. Noi italiani siamo particolarmente viziati da un punto di vista cinematografico. Non ci piace seguire una pellicola leggendone i sottotitoli.
Com’era essere Asia da bambina? Intendo tornare a casa da scuola e – le volte che erano presenti – trovare i tuoi genitori che scrivevano classici del giallo o del paranormale come Tenebre, Phenomena o Opera.
Si è trattato di un enorme privilegio. Sai, io sono sempre stata fiera del lavoro di mio padre, ma anche di mio bisnonno che faceva il distributore cinematografico in Sud America, di mio nonno che era produttore, di mia nonna che fotografava gli attori in scena, ovviamente di mia mamma (Daria Nicolodi, ndr) e di mio zio (Claudio Argento, ndr) che, tra le altre cose, ha collaborato con Alejandro Jodorowsky nel suo ‘Santa Sangre’.
La famosa “factory” di casa Argento?
Esatto. Magari questa cosa, a metà anni Ottanta, poteva creare distanza con i miei coetanei di allora. Forse io passavo per quella “strana”, per quella “col padre che dirige i film con le streghe e gli assassini”, ma non me ne sono mai curata granché. Nel mio caso è sempre stata una circostanza assolutamente normale. Sai, recito da quando ho nove anni (Asia ha debuttato in Sogni e Bisogni, una serie tv del 1985 diretta da Sergio Citti, ndr) e non mi sono mai stupita che al pomeriggio, finiti i compiti, fossi attesa su qualche set cinematografico. Faceva parte, per così dire, delle usanze di famiglia.
Finché non ti sei stufata e hai lottato per trovare una tua strada artistica?
Sì, credo che ad una certa età sia perlomeno necessario per ognuno di noi. Da questo punto di vista vorrei che anche i miei due figli Anna Lou e Nicola, qualsiasi cosa scelgano di fare nella vita, un bel giorno si lasciassero questa loro mamma famosa alle spalle. Tornando a me, sul finire dell’adolescenza avevo già recitato per gente come Nanni Moretti, Michele Placido e Carlo Verdone; avevo fatto sia la commedia di successo che i film drammatici che quelli d’autore. Horror, tutto sommato, pochino. Eppure sui giornali continuavo a passare solo e soltanto come “la figlia di Dario Argento”. Ad un certo punto non ne potevo più. Così sono andata avanti per conto mio prendendomi tutto il bello, ma anche l’amaro, della vita.
E lungo questo percorso hai incrociato la musica…
La mia prima collaborazione musicale è datata 1999. Avevo 24 anni e piazzai questo spoken word su una base drum ‘n’ bass chiamata ‘La mia lingua sul tuo cuore’ dei milanesi RYLZ. Bei tempi.
E dopo non ti sei più fermata.
Almeno fino al 2013 ho continuato a collezionare collaborazioni eterogenee (Morgan, Brian Molko, Hector Zazou ecc.), tutte finite sul mio primo album solista ‘Total Entropy’ pubblicato da una piccola etichetta francese. Dopo sono venute le esperienze gratificanti con Tricky e gli Indochine. Questi ultimi sono un gruppo parigino che qui da noi si filano in pochi, ma in patria riscuotono un successo pari ai Depeche Mode.
Con gli Indochine, tra l’altro, hai beccato un vero e proprio classico pop: Gloria che sembra quasi un mix tra gli Arcade Fire e i New Order.
Pensa che quella canzone in Francia ha vinto prima il disco di platino e poi quello di diamante. Quando la casa discografica me li ha spediti entrambi a casa, mi sono quasi vergognata. E ora questi dove li metto? Non vorrò mica appenderli in salotto? E così li ho fatti sparire! (ride, ndr). Idem quando mi consegnano dei premi cinematografici: sono i primi a finire nascosti nei meandri delle mie quattro mura. Non mi piace vivere circondata dagli allori.
Qualche settimana fa è uscito il singolo I’m Broken che anticipa il tuo secondo album solista Music From My Bed atteso per novembre. Contrassegnato, anche questo, da un’altra collaborazione di lusso: quella con DJ Gruff che ovviamente scratcha come Dio comanda…
Pensa che Gruff è stato uno dei pochi amici a non passare da casa mia per le registrazioni. Poco male: lo conosco dai primi anni Novanta, dai tempi dei Sangue Misto e volevo a tutti i costi un suo scratch nel mio disco. E lo volevo perché questa tecnica fantastica si è ormai quasi estinta nell’hip hop contemporaneo. D’altronde chi è che usa più vinili autentici in questa attuale orgia di effetti computerizzati? Gruff, invece, di scratch me ne ha inviati ben tre. Tutti talmente sanguigni che uno è finito appunto su ‘I’m Broken’ mentre gli altri due li scoprirai quando l’album sarà disponibile.
I’m Broken ha un sound così asciutto, sincopato ed elettronico che mi ha ricordato i Nine Inch Nails di Closer. Che ne dici?
Sì, ha un mood decisamente anni Novanta. Ma possiede anche qualcosa di tedesco. Degno dei Kraftwerk o di quella musica un po’ demente che sparano i club berlinesi quando, all’alba, vogliono mandare a dormire il pubblico. Il bello di ‘Music From My Bed’ è che ogni sua traccia è diversa dall’altra. Ci sono alcuni strumentali e addirittura un brano ispirato alla Tropicália (il movimento brasiliano anni Sessanta reso celebre dalle canzoni di Caetano Veloso e Gilberto Gil, ndr). E poi il linguaggio: metà scaletta è cantata in inglese e l’altra metà in “romanaccio”. Non in romanesco, eh. Intendo proprio in romanaccio! (ride, ndr)
Music From My Bed è nato dal dolore fisico, vero?
Confermo. Stavo girando un programma per la Rai, ‘Pechino Express’, e mi ero pure fatta i muscoli per affrontare meglio quella gara televisiva. Solo che dopo cinque giorni di riprese mi salta la rotula e sono costretta a tornarmene in Italia. L’ortopedico è stato chiaro fin dal principio: “Asia, il ginocchio non è rotto. Non finirai sotto i ferri, ma necessiti di sei settimane di assoluto riposo”. Ok, più facile a dirsi che a farsi. Al secondo/terzo giorno stavo già impazzendo per la depressione. Non potevo fare nulla a parte alzarmi, impugnare le stampelle e andarmene al gabinetto…
Poi cos’è successo?
Ricevo questa telefonata dal mio amico portoghese Holly che di mestiere fa il produttore di musica elettronica e recentemente è stato pure candidato per un Grammy americano. Prima mi consiglia di tramutare il mio veleno in medicina; e poi, visto che avevamo già collaborato in forma estemporanea, mi invia di getto venti sue tracce strumentali al quale mi chiede di aggiungere parti vocali e featuring vari. Ed io, direttamente dal mio letto con tanto di piccolo home-studio costruito per l’occasione, porto a termine il mio compito. Le sei settimane sono trascorse in un attimo.
Mediti di tenere delle date dal vivo per promuovere Music From My Bed?
La speranza è quella. La prossima estate tornerò a dirigere un film (la mia prima pellicola da regista dai tempi di ‘Incompresa’ del 2014) e ancor prima sarò sul set con Riccardo Scamarcio per la realizzazione di un thriller chiamato ‘Interstate’. Se riuscirò a tenere dei concerti, tra questi due impegni, ne sarò felicissima. Show teatrali, però. Perché questo è un album che si vive meglio da seduti.
Che tipo di regia ci dovremo aspettare dal tuo nuovo film?
Ci sto già lavorando con i tre attori maschi coinvolti nel progetto. L’idea di partenza è mia, ma loro intervengono di volta in volta aggiungendo idee e suggestioni col copione ancora in progress. Date le premesse immagino si tratterà di un film abbastanza improvvisato. In tutta la mia carriera non ho mai avuto la fortuna di conoscere un regista che mi abbia messo in questa situazione creativa, così stavolta ho deciso che sarei stata io quella regista… (sorride, ndr)
Mi spieghi perché sette/otto anni fa ti sei allontanata bruscamente dal mondo del cinema mentre oggi – tra Seule, Occhiali Neri (il nuovo film di tuo padre atteso per il 2022), Interstate e questa tua regia – hai nuovamente così tanto da dire?
Sai, attorno al 2013 ero giunta al punto in cui dovevo scegliere tra proseguire con la mia carriera d’attrice o fare la mamma a tempo pieno. Una mamma single, per di più. E ho scelto di fare la madre. Un po’ perché da piccola non ho avuto la fortuna di godermi appieno i miei genitori, un po’ perché il mondo del cinema stava iniziando ad assumere le sembianze di un taxi per una come me.
Prego?
Ma sì, un bel taxi giallo! (ride, ndr). Con tutto il rispetto per la categoria dei taxisti, ci mancherebbe. Sceglievo i copioni come se fossero delle corse cittadine, mi presentavo sul set, svolgevo diligentemente il mio compito, mi facevo pagare e la cosa finiva esattamente lì. Solo che per fare l’attrice hai bisogno di ben altro. Di metterci dentro della passione, ad esempio. Ecco, in quegli anni non è che di passione me ne fosse rimasta chissà quanta…
Lo hai visto QT8, il documentario presente su Amazon Prime Video dedicato ai primi otto film di Quentin Tarantino?
No, me lo sono perso.
Si tratta di un bel prodotto documentaristico sulla carriera del regista cresciuto a Los Angeles. Solo che ad un certo punto irrompe la figura maledetta di Harvey Weinstein e il clima cambia drasticamente. Un virgolettato dello stesso Tarantino, presente nello stesso QT8, lascia intendere quanto lui in realtà sapesse (anche forse per via del suo rapporto con Uma Thurman) e non abbia mai trovato la forza di parlarne. Usando quelle parole mi è sembrato che l’autore di Pulp Fictionvolesse come scaricarsi la coscienza. Chiedendo scusa a te e a tutte le altre attrici coinvolte nel #metoo…
(riflette, ndr) Be’, in merito alle dichiarazioni di Tarantino non so davvero cosa dire. E il caso Weinstein non riguarda più il mio presente, ma il mio passato. Finora Harvey Weinstein è stato condannato a 23 anni e, al termine del secondo processo a suo carico, che si sta svolgendo attualmente in California, rischia qualcosa come altri 130 anni di carcere. Tutto giusto. Si tratta di una persona socialmente pericolosa e l’unica cosa che mi auguro è che non esca mai più di prigione.
So che non è semplice chiedertelo, ma hai fatto pace con quella storia tremenda?
Sì, ci ho fatto pace perché credo che quel mio grido di denuncia abbia aiutato, oltre me, anche tante altre persone al mondo. Alla fine di questa orribile vicenda giudiziaria ed umana c’è chi farà i conti con la sua coscienza e chi, come Tarantino, magari li farà con i suoi rimorsi. E poi ci sono io che ho imparato a convivere con i miei traumi. Una volta per tutte.