Attualità

La fine del Boxing Day all’italiana

Stefano Olivari 02/04/2019

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Boxing Day e Serie A, l’esperimento è già finito. Senza un vero perché. L’Italia non ha fatto in tempo ad apprezzare il calcio di Santo Stefano (Boxing Day per l’esterofilia sfigata che contraddistingue anche noi) e già l’ha abbandonato, secondo quando ha deciso il Consiglio di Lega. Dalla prossima stagione quindi Serie A in campo fino al 22 dicembre, poi le solite vacanze ‘scolastiche’ per tornare in campo la vigilia dell’Epifania. Incomprensibili e infatti non spiegate le motivazioni, visto che il riscontro di pubblico alla stadio era stato buono e che Sky-Dazn avevano potuto riempire i loro palinsesti con calcio vero in una settimana in cui le famiglie, anche quelle degli abbonati (al di là del fatto che esistano i tablet, Sky Go, eccetera), sono in gran parte a casa.

Qualche numero: lo scorso 26 dicembre le 10 partite di A hanno prodotto una media di 25.400 spettatori a incontro. Mentre scriviamo queste righe gli spettatori medi in tutte le giornate di questo campionato risultano di 25.051 a partita, quindi nonostante il freddo il pubblico reale il calcio di Santo Stefano lo ha gradito. Saranno andati male i risultati televisivi, penserete. E invece no: dati in linea con le altre giornate e la partita principale, Inter-Napoli, che ha fatto quasi il 10% di share, come il Milan-Inter (sempre su Sky Sport) di tre settimane fa. Abbiamo letto (ma senza cifre a supporto) che all’estero il nostro Boxing Day era piaciuto meno di quello inglese, ma questo era scontato: tradizione consolidata contro esperimento senza convinzione.

Sulle prime sembrava che Sky fosse abbastanza soddisfatta degli ascolti del Boxing Day de’ noartri. Nell’immaginario collettivo il profilo del suo abbonato medio sarebbe quello di uno che va sciare o comunque le festività non le passa a casa, ma l’Auditel ha detto invece altro. Lo sciatore, estremizziamo, è un abbonato meno fedele del canottierato. Di certo Sky non è rimasta soddisfatta del semi-vuoto di gennaio, ma non si può pretendere un campionato di 76 giornate solo per riempire i buchi del palinsesto. La verità potrebbe essere più triste: molti addetti ai lavori, dai dirigenti ai media ai calciatori, vogliono lavorare quando pare a loro e del gradimento del proprio pubblico gli importa zero. Poi hanno il coraggio di dare la colpa ad una imprecisata ‘cultura cattolica’, loro che per soldi si vendono a paesi totalitari. La convinzione, fondata, è che al tifoso di calcio si possa imporre qualsiasi cosa e lui continuerà comunque a seguire il calcio.

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