La fine degli ultras

11 Novembre 2020 di Indiscreto

Che fine hanno fatto gli ultras nel calcio italiano? Nel presente la risposta è facile: sono stati cancellati dalla misure anti-Covid, così come il pubblico per così dire normale. Solo che il pubblico normale dopo qualche mese di lobotomia tornerà a comprare la quarta maglia ufficiale di un mercenario, mentre in futuro gli ultras difficilmente torneranno nella forma in cui li abbiamo conosciuti: tanti sono diventati gli strumenti di controllo, tracciamento e repressione, sempre ovviamente per il nostro bene, che questi strumenti in futuro potranno essere utilizzati nelle situazioni più diverse.

Uscendo dai massimi sistemi, l’ispirazione per scrivere dopo tanto tempo di ultras (pochi click, zero pubblicità: perché sbattersi?) ci è arrivata da due notizie collegate, a cui i media hanno dato abbastanza spazio, riguardanti l’episodio di cui abbiamo scritto tante volte e che fra qualche anno sarà ricordato come l’inizio dello smantellamento del mondo ultras: ci riferiamo ovviamente alla morte di Daniele Belardinelli, l’interista che il 26 dicembre del 2018 rimase ucciso durante gli scontri, quasi su appuntamento all’inglese, fra tifosi interisti e napoletani, a pochi chilometri da San Siro.

La prima notizia è che per Fabio Manduca, il quarantenne ultras napoletano accusato di avere investito Belardinelli con la propria auto, sono stati chiesti 16 anni di carcere da parte dei pubblici ministeri di Milano Rosaria Stagnaro e Michela Bordieri. Non entriamo nei tecnicismi sul dolo eventuale e citiamo la ricostruzione dei consulenti dei pm: Belardinelli colpì con un bastone il finestrino di un’auto di napoletani, poi nella confusione finì per terra e la Renault Kadjar guidata da Manduca accelerò e travolse l’ultras varesino. Sulla volontarietà, diciamo così, del gesto deciderà il tribunale.

Insomma, dal punto di vista giudiziario potrebbe essere la parola fine anche perché per quanto riguarda la parte interista della guerriglia di via Novara (sì, proprio la via Novara lungo cui si è svolta gran parte della nostra vita) le condanne sono già arrivate, fra gli altri a Nino Ciccarelli, fondatore dei Viking e protagonista del nostro ‘Il Teppista’ (tantissime persone chiedono a Giorgio Specchia il seguito), e a Marco Piovella, conosciuto in Curva Nord come ‘Il Rosso’, fra l’altro fraterno amico di Belardinelli.

E arriviamo quindi alla seconda notizia, letta qualche giorno fa sul Corriere della Sera. In pratica a Piovella è stata revocata la sorveglianza speciale, a quasi due anni dai fatti, per permettergli di tornare a lavorare (aveva un’azienda di successo nel campo del design per illuminazione, che nel suo periodo in carcere è tornata al punto di partenza) ma anche perché, dice l’articolo, si sarebbe dissociato dalla vita da ultras. Un ex capo ultras che rinnega gli ultras? Il titolo del Corriere parlava chiaro: “Rinnego la mia vita da ultrà Inter”. Le cose però non stavano così: Piovella lo ha fatto notare con una precisazione mandata al giornale e pubblicata. In sintesi: la vita da ultras è una parentesi chiusa, ma certo non rinnegata. Che poi dalla sua vicenda e anche da questa ripresa mediatica abbiano tratto vantaggio altri ‘colleghi’ è sicuro.

Fin qui le cose che abbiamo letto tutti noi interessati all’argomento, adesso iniziano le nostre opinioni su un mondo che per anni, in quasi ogni realtà geografica italiana, è stato nella sua parte più pura una difesa contro la deriva commerciale del calcio. Quella che porta noi ‘normali’ a farci andare bene partite a porte chiuse, felici come ebeti perché si vedono più gol. Più gol, più spettacolo, nella logica della Playstation. Tutti in casa indossando la maglia di Calabria, il polsino di Frabotta, la tuta di Gagliardini. Eppure gli ultras italiani fino a qualche anno fa erano un modello per tanti giovani europei: in Germania, ad esempio, le curve traggono un’ispirazione costante da quelle italiane del passato, non certo da quelle inglesi.

Il mondo ultras in senso stretto, in Italia, sommando tutte le squadre è (era?) stando alla Digos di poco sopra le 50.000 persone. Sommando simpatizzanti, frequentatori saltuari delle curve e gente che vorrebbe ma non può si arriva facilmente ad un numero quadruplo: conoscete un vero tifoso della Roma che non sia mai stato una volta nella vita nella Curva Sud dell’Olimpico? Un mondo soltanto in minima parte formato da rifiuti della società e che ha una presenza femminile nemmeno immaginabile negli anni Ottanta e Novanta, un mondo che negli ultimi anni è però cambiato molto. La politica non c’entra, al di là del fatto che l’ultras medio sia quasi sempre di destra, a volte di estrema destra: ma non ci pare che Casa Pound o simili abbiano avuto grandi successi elettorali, nemmeno restringendo le votazioni ai tifosi. E la Lega non ha sfondato più che nell’elettorato extracalcio, anzi dal punto di vista ultras Maroni è stato il peggior ministro degli Interni possibile.

Il problema di questi ultimi anni è semplice: non ci viene in mente una sola curva di un grosso club, anche del Nord, in cui non sia presente la criminalità organizzata. Cosa che paradossalmente al tifoso Sky-Dazn va bene, così come ai club: meno incidenti, più controllo, gli affari sporchi gestiti altrove o magari anche allo stadio ma con relativa discrezione. Stiamo sempre parlando di una minoranza, fra decine di migliaia di persone che ancora ci credono, ma una minoranza che sta fagocitando tutto. Gli ultras torneranno, almeno come rappresentazione di sé e come parte della fauna che gira intorno ai club, ma come fenomeno sportivo sono finiti. Il sistema ha dato un po’ di ordine agli stadi, adesso rimangono qualche migliaio di piazze e di parcheggi.

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