Basket
Jugobasket
Indiscreto 23/04/2025

Uno dei pochi podcast che seguiamo, nella marea di proposte che ci fanno venire l’ansia e gli occhi pallati tipo i dibattiti pre-elettorali di Fantozzi, è senz’altro Boomerball. Argomento principale, ma non unico, la pallacanestro italiana degli anni Ottanta e Novanta, con Alessandro Toso e Massimo Iacopini che vanno a ruota libera con ex giocatori ma anche con personaggi del presente: nostre puntate preferite, fra le tante, quelle con ospiti Riva, Pittis e Gherardini. Da poco abbiamo finito di leggere Jugobasket – Tre generazioni leggendarie, il libro di Toso che in qualche modo è cugino di Boomerball, visto che tutti i campioni della ex Jugoslavia da lui intervistati sono stati spesso avversari e in qualche caso compagni degli ospiti del podcast.
Jugobasket ha uno schema molto interessante, perché dà per scontato che tutti conoscano le carriere degli 11 grandi (Tanjevic, Simonovic, Jerkov, Dalipagic, Delibasic, Aco Petrovic, Obradovic, Radja, Kukoc, Divac e Danilovic) testimoni del loro tempo e quindi si concentra più sugli anni della formazione e dell’ascesa che su eventi che tutti noi abbiamo visto in diretta e tante volte anche dal vivo: l’unico che personalmente ci manca è Simonovic, oltre al Tanjevic giocatore. Racconti di prima mano, per forza di cose non nel caso di Delibasic (intervistato il figlio), che abbracciano due decenni straordinari e appunto tre generazioni: quella del Mondiale di Lubiana 1970 (Simonovic, Daneu, Solman, Skansi) quella dei che ebbe il suo punto più alto con l’oro di Mosca (Dalipagic, Kicanovic, Delibasic, Cosic) e quella che sarebbe approdata in massa nella NBA (Drazen Petrovic, Kukoc, Radja, Divac) sul finire della Jugoslavia unita.
Il capitolo per noi più interessante, visto che il personaggio è poco inflazionato, è quello su Simonovic, un vero intellettuale scomodo (purtroppo i suoi tanti libri contro lo sport professionistico non sono mai stati tradotti in inglese, o comunque non li abbiamo trovati), che nemmeno dopo mezzo secolo ha fatto chiarezza sul gran rifiuto di Monaco, quello più divertente con Radja che racconta del pochissimo allenamento in un’Italia da noi mitizzata (fantastico quando disse a Carlo Sama che con Bianchini non si faceva un cazzo: episodio che vale il libro) e delle logiche deteriori della NBA escluse quelle poche squadre che vogliono vincere. Bellissimo il modo in cui Kukoc racconta la capacità di farcela anche nelle situazioni più calde, come quella di Zara in cui i tifosi locali non solo muovevano il canestro ma cercavano di agganciare con il manico degli ombrelli i giocatori avversari vicini alle linee laterali. Può sorprendere chi non ha mai parlato con un serbo o con un croato del mondo del basket come per quasi tutti il calcio sia stato il primo sport e che come tifo (Divac su tutti) lo sia ancora oggi.
Il filo conduttore delle risposte in Jugobasket non è la nostalgia, che è soprattutto nostra e forse anche di Toso, ma la spiegazione del perché ci sia stato in quella terra e in quel momento storico l’ambiente perfetto per la crescita di campioni. Famiglie sane e senza problemi, non ricche perché in quella Jugoslavia pseudocomunista lo erano in pochi, ma nemmeno povere, la televisione che permetteva di vedere qualcosa ma non tutto, lo sport ad occupare l’immaginazione di ogni ragazzo, il tanto tempo libero, i soldi che non erano un’ossessione nemmeno quando mancavano, l’America come modello al tempo stesso inseguito e disprezzato. In definitiva nessuno, a parte Simonovic, sa spiegare perché la Jugoslavia non ci sia più anche se nella pallacanestro in molti ancora nel 2025 pensiamo a Jokic e Doncic come jugoslavi. Davvero un bel libro, diverso da quelli di Tavcar visto che in questo caso l’autore non coincide con il protagonista. È stato tutto bellissimo e forse non è ancora finito.
stefano@indiscreto.net