Calcio

Italia, l’Europeo della libertà

Stefano Olivari 21/06/2021

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Mancini come Pozzo. È il titolo meno patriottico letto dopo la vittoria in maschera con il Galles, con la maschera che peraltro era indossata anche da Bale e compagni, basandosi su statistiche impossibili da confrontare e su un numero di titoli un po’ diverso (l’ha dovuto ricordare Mancini, a chi ci sta infliggendo una settimana di po-po-po…). Diciamolo subito: perdere sabato a Wembley negli ottavi contro scappati di casa, Austria o Ucraina che siano, è difficile, uscire contro il probabile Belgio nei quarti ci starebbe. La zona leggenda, facciamo storia, è quindi da Lukaku in avanti.

In realtà l’Italia di Mancini il suo Europeo lo ha già vinto, quello delle persone che ragionano con il proprio cervello. Quello della libertà, volando ancora più alto. Prima del fischio di inizio l’inginocchiamento stile Black Lives Matter, che ormai ha assunto significati lontanissimi dall’originale (proprio Lukaku ha spiegato che lui protesta contro ogni discriminazione, non solo quella razziale), è stato fatto da Toloi, Emerson Palmieri, Pessina, Bernardeschi e Belotti, quindi non fatto da Donnarumma, Bonucci, Bastoni, Jorginho, Verratti e Chiesa. In altre parole, ognuno ha manifestato il suo pensiero senza vincoli, con buona pace dei Marchisio della situazione e soprattutto del giornalista collettivo.

Marotta, Ausilio, Baccin, Samaden. Soprattutto Marotta, viene da dire. Tutti hanno prolungato con l’Inter fino al 2024 permettendoci di sottolineare l’unico aspetto positivo delle proprietà straniere nel calcio italiano, che onestamente per mille altri motivi detestiamo, con gli Zhang in prima fila: dare un orizzonte temporale credibile ai dirigenti, bravi o scarsi (perché poi possono sceglierli male lo stesso) che siano. Non che un ricco (…) cinese sia di base più intelligente di un ricco milanese, ma il distacco in certi casi aiuta.

Nulla è chiaro negli ultimi mesi di Rino Gattuso, dalla qualificazione Champions buttata con il Napoli alla trattativa saltata con il Tottenham, passando per il volgare addio di De Laurentiis, l’amore mai nato con Commisso, il ruolo di Jorge Mendes e i tempi sbagliati con la Lazio. Certo con la Fiorentina ha sbagliato lui, perché non occorrevano grandi informatori per scoprire che si tratta di una realtà da decimo posto, che le scommesse le fa su giocatori da 10 milioni e non da 30.

Aumento di capitale da 300 a 400 milioni di euro per la Juventus, già il prossimo autunno. Lo scrive il Sole 24 Ore: la realtà post Covid è che chi ha i soldi li deve far scendere in campo adesso, quindi gli azionisti dovranno contribuire pro quota per non vedere diluita la loro partecipazione. Gli Agnelli, attraverso la Exor, contano per il 63,77%. Nessuna sorpresa: nel sistema attuale un club di alto livello è ancora roba da ricchi, come negli anni Cinquanta, in assenza di un cambio di paradigma (azionariato popolare, identità locale e/o nazionale) è assurdo impedire a chi ha i soldi di spenderli. Fra l’altro la cifra è molto simile al bonus di Morgan Stanley per la Superlega, idea tutt’altro che tramontata visto che anche l’ultima Champions non sembra se la siano giocata Spezia ed Elche.

Segnalare al giornalista indignato e/o al popolo bue che il ‘mercenario’ Donnarumma, anzi Dollarumma, ha giocato senza contratto tre partite di un Europeo. Facendosi male seriamente, cosa che nel calcio può capitare, avrebbe perso 60 milioni.

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