Inventing Anna, lo schema di Frank Sinatra

10 Giugno 2022 di Stefano Olivari

Una delle truffe più geniali nell’era dei social network è quella di Anna Sorokin, in arte Anna Delvey, che fra il 2013 ed il 2017 diventò una star della vita mondana di New York facendosi passare per un’ereditiera tedesca a capo di una fondazione che si occupava di arte ed eventi culturali, appunto la Anna Delvey Foundation. Ingannando banche di primaria importanza, miliardari, investitori di vario tipo e personaggi del jet set. Ed ispirando articoli, libri e serie televisive come Inventing Anna, che abbiamo da poco finito di guardare su Netflix.

L’unicità del caso non risiede nella truffa in senso stretto, perché alla fine i soldi che Anna tecnicamente si era intascata erano non più di 300.000 dollari (come da sentenza del tribunale), ma nel fatto che per anni sia stata famosa per essere famosa, facendo spendere altri al posto suo: per feste megagalattiche ma anche per semplici vacanze (di culto quella a Marrakech) o uscite in ristoranti di lusso (grande scena la roulette delle carte di credito per pagare un conto da 37.000 dollari). Uno schema che i social network hanno reso più facile ma certo non inventato: memorabile l’arringa dell’avvocato, che ricorda come Frank Sinatra pagasse alcune sue fan per andare ai concerti e fingere di svenire. Poi migliaia di altre fan svenivano sul serio e il meccanismo a questo punto si autoalimentava…

La serie, che poi non è una serie visto che la prima stagione arriva fino ai giorni nostri ed è improbabile un seguito se non fra molti anni, è stata scritta e prodotta da Shonda Rhimes, con tutti i capisaldi della sua ideologia: donne forti ed in carriera, uomini nella migliore delle ipotesi servili e spesso cretini, neri in ogni posizione in percentuale tripla rispetto alla realtà, ossessione anti-repubblicana che visto il periodo diventa anti-trumpiana. La vicenda su cui è basata, che ha permesso alla Sorokin di rimettersi in carreggiata vendendo i diritti a Netflix, è però molto scomoda e quindi degna di essere raccontata anche se siamo lontani dalla zona capolavoro.

Vivian, la giornalista che di fatto è la co-protagonista di Inventing Anna, è in realtà Jessica Pressler, l’autrice dello scoop per il New York, quindicinale che tuttora gode di buona salute (oltre 400.000 copie vendute a numero), e per i nostri standard è notevole che i suoi capi le lascino mesi di tempo per lavorare su una storia che all’inizio sembrava minore ma che poi è stata come poche altre rivelatrice del nulla che siamo abituati a rispettare. Notevole anche l’orgoglio che i giornalisti statunitensi continuano ad avere per la loro professione, di qualsiasi cosa si occupino.

Chiaramente la figura dominante è Anna (attrice Julia Garner), russa di nascita ed emigrata in Germania da giovanissima, con i tanti suoi segreti che alla fine si rivelano le normali fantasie di una ragazza che trova più facile sognare che guardare in faccia la realtà. Dal punto di vista dello spettatore, l’immedesimazione con Vivian è immediata: un’alternanza, quasi ad ogni scena, di rabbia contro le bugie di Anna e di fascinazione per una che inconsapevolmente ha smascherato tutti. E che adesso, con le maglie della detenzione che si sono allentate, è tornata sulla scena vendendo la sua storia ed il suo personaggio per dollari reali. Frank Sinatra almeno sapeva cantare.

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