Calcio

Il presidente della Longobarda

Stefano Olivari 20/01/2022

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Camillo Milli è morto alla bella età di 92 anni, ma per sempre l’attore milanese vivrà come presidente della Longobarda, il Borlotti di L’Allenatore nel pallone, film culto non solo per chi era giovane all’epoca ma anche per i calciatori di oggi. Forse è riduttivo dire questo di uno che ha lavorato con Strehler e Dario Fo, ma fra un secolo Milli sarà ricordato più di loro, come straordinario caratterista in tanti film, oltre che in quello che meglio di altri ha catturato lo spirito ottimista e cialtrone del suo tempo.

Borlotti è diventato sinonimo di tante cose: il dirigente di provincia asservito ai grandi club, a cui quasi regala i suoi gioielli Falchetti e Mengoni (che differenza c’è con i prestiti con pagamento dilazionato del 2022?), il presidente che tifa per la retrocessione della sua squadra in modo da spendere meno (eravamo nel 1984 e mai avremmo immaginato che il ‘paracadute’ avrebbe poi perfezionato il meccanismo), l’imprenditore sconosciuto che trova visibilità con il calcio, con moglie soddisfatta dai suoi dipendenti (qui la realtà, anche di Serie A, è molto superiore).

A tutto questo Milli diede un tocco personale strepitoso, senza imitare nessuno ma prendendo qualcosa, anche solo un tic, da molti presidenti dell’epoca: Lugaresi, Anconetani, Massimino, Luzzara, Rozzi… Ed il criterio di scelta dell’allenatore non era poi così diverso da quello dei manager superfighi con sette master: la bi-zona di Canà non era peggio del gegenpressing del tedesco con occhialetto criptogay. Impossibile non ridere alla millesima visione dell’inchino di fronte ad uno pseudo-Agnelli, con tanto di orologio sul polsino, o a Platini usato come depistaggio rispetto all’obbiettivo Rummenigge e alla comproprietà di Maradona. Grazie presidente.

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